11 settembre, la svolta epocale in diretta televisiva

Con al-Qaeda ci si trovò di fronte a un conflitto scatenato non da uno Stato, ma da un gruppo privato. L’organizzazione guidata da bin Laden aveva attraversato gli Stati, si era servita delle loro banche, ne aveva sfruttato i canali finanziari, i centri di addestramento militari, ma non era uno Stato: nella sua strategia del terrore al-Qaeda aveva coniugato la dimensione arcaica del fondamentalismo religioso con la totale modernità di un impianto organizzativo globalizzato, traducendo e evidenziando a suo modo l’implosione dello Stato-nazione. L’11 settembre rese evidente che nemmeno la conduzione della guerra era ormai una prerogativa esclusiva degli Stati, visto il moltiplicarsi di eserciti privati, finanziati dai proventi di traffici leciti (petrolio e diamanti) e illeciti (droga e generi di contrabbando). Alla guerra simmetrica del Novecento era subentrato un pulviscolo di conflitti, un groviglio di guerre civili, guerre ai civili, lotte di liberazione e terrorismo vero e proprio che insanguinano il nostro mondo ancora oggi e rendono permanente la nostra insicurezza.

L’affievolirsi del ruolo dello Stato era evidente anche nel tramonto delle ragioni geopolitiche e ideologiche come cause scatenanti delle guerre e nella loro sostituzione con motivi identitari e religiosi. Già allora, tra il 1989 e il 2005, su 121 conflitti censiti a livello internazionale, soltanto 11 erano stati combattuti tra Stati nazionali, mentre il 90% era scoppiato al loro interno. Inoltre, anche nella condotta della guerra si erano moltiplicati gli interventi di organismi sovranazionali, che – come poi nella guerra contro l’Isis – scavalcavano la sovranità dei Paesi sovrani, con le istituzioni internazionali che rivendicavano il diritto di giudicare e influenzare l’operato degli Stati all’interno dei loro stessi confini; l’Onu, ad esempio, tra il 1990 e il 2003 fu protagonista di ben 41 operazioni militari, contro le 16 dei 45 anni precedenti. Ma questo marcato attivismo non riuscì a garantire la pace. Secondo i dati forniti dall’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) già nel 2016 le guerre in corso coinvolgevano 67 Stati e ben 774 gruppi e organizzazioni militari e paramilitari non riconducibili a uno Stato. I focolai più attivi erano quelli del Medio Oriente. Ed è questa la matrice ultima della nostra insicurezza: da un lato una dimensione territoriale della guerra che può essere ovunque, senza più la simmetria dei fronti e delle retrovie; dall’altro l’impossibilità di una distinzione netta tra guerra e pace. Da allora in poi focolai di guerra e di violenza si accendono e si spengono ovunque nel mondo, proponendo la guerra come un fenomeno endemico del nostro tempo. E le immagini che rimbalzano oggi dall’Afghanistan ne sono una tragica conferma.

LA STAMPA

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