Povero Draghi: oltre ai guai dell’Italia deve badare a quelli della Lega

La curiosità è legittima: “Quale è l’umore di Mario Draghi, l’uomo chiamato a salvare l’Italia dopo il crack dei partiti, vaccinarla, dotarla di un piano per far arrivare parecchi denari dall’Europa, portatore sano di un’idea autonoma dell’interesse nazionale, abituato a una visione razionale dei problemi e altrettanto razionale delle soluzioni, e ora, dopo aver spiegato come la pensa sui vaccini con sfavillante decisionismo (più o meno come Biden), costretto alla politica del step by step per contenere le intemperanze di Salvini, prima contrario alla mascherina che poi ha indossato, riottoso sul vaccino che poi si è inoculato, contrario al Green Pass che poi ha accettato, contrario all’estensione che sarà costretto a digerire sia pur a fatica?”.

Dopo un giro di telefonate a fonti informate, il cronista registra un certo disappunto a palazzo Chigi verso il leader leghista non dissimile da quello registrato verso Conte ai tempi dell’altrettanto faticosa trattativa sulla giustizia e sulla prescrizione: anche in quel caso ci fu una minaccia di voto contrario, una mediazione d’antan, poi l’epilogo possibile nelle condizioni date. E il disappunto si comprende, perché la pandemia è la pandemia, ha i suoi tempi che non coincidono con quelli della politica, i sondaggi, le amministrative, per cui è chiaro che Salvini gioca ad allungare i tempi, scontando una seria emorragia di voti a destra. Ecco, i tempi: in discussione non c’è il “se”, perché lì si arriverà, all’estensione ai lavoratori, ma il quando. Incassata la scuola, la road map di palazzo Chigi prevede che “la prossima, o al massimo quella successiva, sarà approvato su statali e altre categorie di lavoratori”. 

Il punto riguarda la gestione della crisi politica della Lega, che ha costretto Draghi a misurarsi su un terreno del tutto nuovo, quello della politica con i suoi rapporti di forza e le sue fasi di metabolizzazione. E a pagare questo realismo con un percorso, che non è indolore, di parcellizzazione dei provvedimenti – prima questo, poi quell’altro – che alimenta conflitti e, con essi, il rischio di ingenerare confusione. Insomma, quel che sta accadendo dentro la Lega è vissuto come un problema da gestire. Salvini, che ogni tanto si diletta a rendere pubbliche le telefonate col premier per esigenze comunicative, sa benissimo quale sarà il punto di caduta, perché i contatti con palazzo Chigi sono frequenti. Sa bene che lì si arriverà. E sa bene che il premier può concedere un po’ di tempo, ma non può, e non vuole, mettere in discussione la ratio di un provvedimento che rappresenta l’asse portante della politica di contrasto alla pandemia del governo.

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