Ibrido e a tre fasce: ecco il nuovo smart working
La prima, definita di operatività, è quella del lavoro vero e proprio. Il dipendente pubblico potrà ricevere indicazioni e direttive e se necessario sarà chiamato a partecipare alle riunioni per coordinarsi con i colleghi. Una fase che implica la necessità di iniziare a svolgere i compiti e le attività richieste “entro un brevissimo lasso di tempo”. La seconda fascia è quella della “contattabilità”: al suo interno contiene la fascia precedente e in questa fase il lavoratore può essere contattato al telefono, via mail o con “modalità similari”. Il lavoratore non rientrerà in queste due fasce se usufruirà dei permessi (personali o familiari, sindacali, per le assemblee).
La terza fascia, quella della inoperabilità, ha a che fare con il diritto alla disconnessione: il dipendente non potrà lavorare. Sono le 11 ore di riposo consecutivo a cui ha diritto in base al contratto siglato nel 2018 e che ricomprendono la fascia notturna che va dalla dieci di sera alle sei del mattino successivo. Non sarà obbligato a leggere le mail, a rispondere al telefono o ai messaggi, così come ad accedere al sistema informativo dell’amministrazione pubblica. In generale, quando si lavorerà in smart working non si potranno fare gli straordinari e neppure le trasferte.
Il dipendente torna in ufficio se il pc non funziona. Via il buono pasto: arriva il forfait per le spese
Se il pc o altri strumenti informatici non funzioneranno è il dipendente che dovrà avvertire tempestivamente il proprio dirigente del malfunzionamento. Se il problema non si risolve, rendendo impossibile svolgere il lavoro, allora il dirigente potrà richiamare il dipendente in sede. E lo smart working potrà essere interrotto anche per “sopravvenute esigenze di servizio”: in questo caso la comunicazione al dipendente deve essere inviata almeno il giorno prima.
Un’altra novità riguarderà il buono pasto, a cui il dipendente pubblico ha diritto dopo 7 ore e 12 minuti di lavoro durante una giornata. L’ipotesi allo studio è di inserirlo in un’indennità più generale, in pratica un forfait, in cui troveranno spazio anche i soldi per coprire le spese legate alla connessione a Internet. Le singole amministrazioni sono andate in ordine sparso durante la pandemia: alcune hanno continuato a dare il buono pasto, altre no. La logica che sottende allo stop del buono pasto in sé è quella che prende atto di una situazione attuale e che potrebbe ripresentarsi anche in futuro se la singola amministrazione sceglierà un modello classico, legato appunto all’orario. Se non si riesce a misurare, e quindi a verificare, l’orario di lavoro del dipendente a casa, perché l’amministrazione deve pagare il buono pasto?
L’accesso allo smart working. Accordo individuale con più paletti, precedenza ai genitori di neonati e ai disabili
Il canale di accesso resta quello individuato dalla legge n.81 del 2017, ma l’accordo individuale tra l’amministrazione e il dipendente si arricchisce di nuovi elementi. L’accordo dovrà indicare la durata, la modalità di recesso, le cause della decadenza, l’indicazione delle fasce temporali e il diritto alla disconnessione. Ogni amministrazione “avrà cura di facilitare l’accesso al lavoro agile ai lavoratori che si trovano in condizioni di particolare necessità, non coperte da altre misure”. A titolo esemplificativo il contratto indica tre profili: i genitori di bambini con meno di tre anni, i dipendenti portatori di handicap in situazione di gravità e quelli che assistono portatori di handicap in situazione di gravità.
Il piano Brunetta
Lo smart working nel contratto è una misura che il ministro ha in mente da quando è nato il Governo: figura, infatti, nel Patto siglato con i sindacati a palazzo Chigi lo scorso 10 marzo alla presenza di Mario Draghi. Il piano Brunetta procederà di pari passo con il lavoro dell’Aran. Prima l’estensione dell’obbligo del green pass agli statali per riportarli in ufficio in sicurezza, subito dopo una direttiva per invertire la logica adottata dal governo Conte 2, che ha fatto dello smart working la modalità di lavoro ordinaria. Già alla fine del lockdown, l’allora ministra alla Funzione pubblica Fabiana Dadone aveva corretto quell’impostazione, ma non in maniera esclusiva. Il terzo step sarà costituito da una serie di direttive per fissare i principi generali del ritorno in ufficio, che sarà comunque graduale.
Il rientro degli statali: tempi e modalità
Le norme attuali dicono che fino al 31 dicembre, in linea con la durata dello stato d’emergenza, sarà in vigore il regime semplificato per lo smart working. Dal primo gennaio ogni singola amministrazione dovrà indicare nel Pola, il Piano organizzativo del lavoro agile, come si intende organizzare per lo smart working: il paletto dell’almeno il 50% è stato tolto e c’è quindi autonomia di azione. Se invece l’amministrazione non presenterà il Piano allora potrà applicare lo smart working in una misura massima del 15 per cento.
È ancora troppo presto per dire come cambieranno queste disposizioni, ma già il fatto che si va verso una modifica è un elemento importante perché spiega che la direzione è quella di rendere il lavoro in presenza, e non a casa, quello preminente. Di sicuro, come si diceva, non sarà un ritorno di massa. Innanzitutto perché gli statali che sono ancora in smart working sono stimati intorno o sotto il milione. In tutto sono 3,2 milioni, ma circa 600mila sono operatori sanitari: sono stati sempre in corsia, mai a casa. C’è poi l’amplia platea degli operatori scolastici che ha dentro 1,2 milioni di lavoratori: quasi tutti sono tornati o stanno per tornare nelle aule, tra l’altro con l’obbligo del green pass. E anche gran parte del personale in regime di diritto pubblico (magistrati, avvocati, procuratori dello Stato) è in servizio, così come le forze dell’ordine. In smart working sono rimasti principalmente i dipendenti delle funzioni centrali, come i ministeri, e quelli delle funzioni locali, come gli impiegati nei Comuni. In tutto sono circa 720mila, ma non tutti stanno lavorando da casa.
Cosa c’è dietro la spinta al ritorno in ufficio degli statali
L’orizzonte in cui si muove Brunetta è quello di una regolamentazione dello smart working attraverso il contratto, che non è solo uno strumento di contenuto, ma anche di metodo. Il contratto, infatti, sarà siglato con i sindacati, fa riferimento quindi a un contesto di collaborazione necessario per calibrare il lavoro della Pubblica amministrazione su un ritorno in presenza che non è un ritorno classico alla normalità pre Covid (al netto del fatto che tra l’altro il virus circola ancora). Non ci sono solo i servizi allo sportello. La Pa dovrà muovere i miliardi del Recovery, a livello centrale come locale. Insomma l’armonia tra chi dirige e chi ha un incarico più operativo dentro la macchina pubblica che conta circa 30mila amministrazioni è fondamentale.
Questo
clima di conciliazione va costruito. Marco Carlomagno, segretario
generale della Flp, la Federazione dei lavoratori pubblici e delle
pubbliche funzioni: “Il negoziato in Aran” sulla parte del contratto
relativa al lavoro agile ӏ ancora nella fase iniziale e molti aspetti
debbono ancora essere affrontati”. Per Carlomagno “non appaiono inoltre
adeguatamente affrontati argomenti chiave come la sicurezza e le
dotazioni informatiche, le modalità di retribuzione correlate
all’apporto partecipativo e produttivo, le modalità di flessibilità
dell’orario di lavoro, la questione buono pasto o il ristoro delle spese
che
vengono sostenute nel caso di parte della prestazione resa con le proprie dotazioni”.
Alla ricerca della produttività
Alcuni studi dicono che la produttività degli statali è aumentata con lo smart working. Ma tralasciando il campione preso a riferimento, l’elemento che non torna è un altro: come si fa a misurare la produttività se i dipendenti pubblici non sono stati interessati da una definizione degli obiettivi, ancora prima da una programmazione? Già farlo in presenza era e resta un problema. E poi durante il lockdown la priorità era fare andare avanti la macchina pubblica, insomma la valutazione di come l’ha fatto è stata, a ragione o a torto, messa in secondo piano dal virus. Di sicuro anche quelli che continueranno a lavorare da casa saranno interessati dal nuovo tentativo di misurare la produttività. Per questo il quanto si lavora è forse secondario rispetto al come si lavora. Ma questo lo diranno con certezza solo i prossimi mesi.
L’HUFFPOST
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