Eitan, la diplomazia in campo: Tel Aviv non si schiera e Roma prende tempo
Secondo quanto rivelato dall’emittente televisiva israeliana Channel 12, un documento di alcuni esperti del ministero degli Esteri di Tel Aviv avrebbe già dato un parere positivo al rientro di Eitan, considerando la sottrazione ad opera del nonno materno un sequestro a tutti gli effetti. Ma si tratta di valutazioni che non sono ancora passate al vaglio della magistratura competente, e che dovranno essere confermate prima di diventare esecutive. C’è poi il procedimento penale, avviato sempre dalla zia paterna presso la procura di Pavia, che denuncia il sequestro del bambino per mano del nonno materno. Se un giudice italiano dovesse ravvisare gli estremi per un sequestro, viste le violazioni sull’orario di visite e la mancata restituzione del passaporto del minore da parte del nonno, potrebbe a quel punto chiedere alle autorità israeliane il rientro di Eitan, da effettuare tramite l’Interpol.
Malgrado dunque sia piuttosto chiaro che la vicenda sia soprattutto giudiziaria, la politica si sente sotto pressione, perché la storia di Eitan ha tutti gli ingredienti per coagulare su di sé sentimenti ed emozioni dell’opinione pubblica: c’è la questione identitaria – la scuola cattolica a cui Eitan era stato iscritto in Italia e quella ebraica che lo aspetta in Israele – ci sono due Paesi e un bambino conteso, e c’è la realtà di una famiglia dalla doppia radice, che dopo la tragedia del Mottarone si è trovata scissa, spezzata in due, incapace di ricomporre quell’unità che il papà e la mamma di Eitan, morti nell’incidente, avevano immaginato per la vita dei loro figli.
In questa fase, la politica non può fare altro che vigilare affinché la macchina giudiziaria non si impantani e promuovere una corretta relazione operativa con Israele. Si tratta di Stati amici, non dovrebbe essere difficile.
LA STAMPA
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