Sorprese europee a sinistra (in Norvegia e non solo)
Che non esiste sintonia tra la destra italiana e quel che confusamente si muove negli schieramenti europei con i quali le varie formazioni del fronte conservatore sono disordinatamente imparentati. E che paradossalmente il partito di Enrico Letta dà prova di maggiore vitalità. Un Pd che pure è appesantito da un rapporto sempre più organico con un M5S non al massimo dei suoi splendori. Un Pd costretto a promettere l’imminente approvazione di leggi su migranti e sessualità (annunci che hanno provocato perplessità, quantomeno per la tempistica, non solo a Vincenzo De Luca ma persino a Romano Prodi). Il Pd, obbligato a cimentarsi con questo genere di salti mortali, appare però, nel momento della verità, più di tutti gli altri in sintonia con il governo guidato da Mario Draghi.
È passato inosservato che Letta ha delicatamente portato i Cinque stelle a contenere la turbolenza nei confronti dell’esecutivo. In più li ha indotti ad accettare qualcosa che ha dell’incredibile, cioè che il composito schieramento di sinistra allargata debba votare, al secondo turno, candidati del Pd, candidati della cosiddetta società civile scelti da Pd assieme al M5S, ma neanche uno che provenga direttamente dal movimento che fu di Beppe Grillo. Quantomeno per quel che riguarda i centri più importanti. Grazie anche al fondamentale aiuto di Giuseppe Conte, l’integrazione tra Pd e M5S sta avvenendo in modalità per certi versi simili a quelle con cui fu costruito il Fronte popolare nel 1948. Allo stato degli atti è lecito ipotizzare che alle prossime elezioni politiche nei seggi del maggioritario gli eletti pentastellati subiranno la sorte che toccò ai poveri socialisti il 18 aprile di settantatré anni fa. Saranno cioè ridimensionati a una quota di consistente testimonianza. E scelti nella logica della fedeltà all’impresa comune.
Con la vittoria (ipotizzata, ribadiamolo, dai sondaggi) a Roma, Milano, Bologna, Napoli e molti altri comuni, Enrico Letta potrebbe mettere un piede sul piedistallo su cui è appena salito Støre e su cui forse si eleverà Scholz. E lo farebbe in un momento assai particolare nel quale il suo partito non dava segni di ripresa rispetto ai risultati delle più recenti elezioni. Per di più in tempi in cui la destra sembrava esser stata l’unica beneficiaria dell’emorragia di voti dei Cinque Stelle. La tecnica è stata quella di impegnarsi in battaglie identitarie di testimonianza che non mettessero in difficoltà il governo. E di presentarsi, anzi, come difensore di ministri — ad esempio la Lamorgese — messi nel mirino da Salvini. Letta è stato sorprendentemente capace persino di lusingare e corteggiare Giorgia Meloni pur di isolare e mettere in difficoltà il leader della Lega (e con lui Matteo Renzi). Si può ipotizzare che il segretario del Pd sia stato fin qui un po’ sottovalutato.
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