La politica Ue sull’energia crea povertà La deriva che Bruxelles ignora
di ALBERTO CLO’
Mai dal secondo dopoguerra si era assistito ad una simile impennata dei prezzi energetici. Dal prossimo primo ottobre quelli del gas dovrebbero crescere del 30% mentre quelli dell’elettricità del 40% portando l’aumento complessivo dal 1° luglio scorso al 45% circa per il metano e al 60% per l’elettricità, ridotto al 50% da un provvidenziale intervento del governo che ne ha modificato i criteri di calcolo impegnando 1,2 miliardi di euro. Alla base di questi aumenti vi sono due ragioni. Primo: l’esplosione dei prezzi spot del gas metano, che quotavano nei giorni scorsi 3,5 volte quelli di inizio 2021 e 10 volte quelli di inizio 2020.
I prezzi sono trainati, in un mercato internazionale ormai globalizzato, dalla crescita della famelica domanda asiatica, da difficoltà di approvvigionamento dalla Russia, dalla necessità di ricostituire i bassi stoccaggi. Secondo: il quasi raddoppio da inizio anno sul mercato europeo dei prezzi dei permessi di emissione del carbonio saliti a 60 euro a tonnellata. Al di là di queste specifiche e si spera temporanee ragioni, ve ne è una di carattere generale: la cosiddetta transizione energetica al dopo-fossili. Transizione che sta presentando sempre più il suo conto. Più si perseguiranno gli obiettivi di contenimento del riscaldamento globale, ed è imprescindibile farlo, più se ne dovranno pagare i costi. La campana dei gilet gialli francesi suonò anche per noi, ma non la si volle ascoltare.
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