Quando si andrà in pensione con la nuova manovra: le soluzioni sul tavolo del governo
In 340 mila ce l’hanno fatta a lasciare il lavoro con 38 anni di contributi e 62 di età. Ma ora quota 100, la misura bandiera della Lega nel governo giallo-verde, non sarà rinnovata. La Ue non la vuole. E siccome i fondi del Pnrr sono tanti ma condizionati al rispetto di alcune condizioni tra le quali proprio la riforma della previdenza e la cancellazione della Quota 100, non c’è verso di immaginare la sua prosecuzione.
Lo scalone di inizio 2022
Il problema è che senza una misura af hoc il rischio è il ritorno alla Fornero cioè l’uscita a 67 anni di età anagrafica. Con il risultato che, dal prossimo primo gennaio, per uscire dal lavoro un occupato dovrebbe aspettare almeno altri 5 anni rispetto al collega uscito un giorno prima. Si tratta del cosiddetto “effetto scalone” che il governo vuole evitare anche sotto la pressione di sindacati e partiti.
Quota 41
Le ipotesi sul tavolo sono molte e la loro applicazione è legata solo al costo necessario a finanziarle. I sindacati spingono per la Quota 41, e cioè il conseguimento del diritto all’assegno con 41 anni di contribuzione a prescindere dall’età. “Noi pensiamo che dall’età di 62 anni le persone possano scegliere se andare in pensione, che 41 anni di contributi diano diritto a poter andare in pensione» ha spiegato Maurizio Landini, leader della Cgil. E sul punto la convergenza è ampia visto che anche la Lega di Salvini batte da tempo per questa soluzione. In realtà la Quota 41 è già operativa ma è riservata a una fascia precisa di lavoratori che devono avere almeno 12 mesi di contributi versati, derivanti da effettivo lavoro (non valgono volontari e riscatti), anche non continuativi, prima del compimento dei 19 anni di età. A questo vanno aggiunti i 41 anni di contributi e il rientrare in una delle 5 categorie tutelate, (disoccupati, invalidi, caregiver (assistenza a familiari disabili), lavori usuranti, lavori gravosi). Se per la Lega l’estensione dovrebbe valere per tutti i lavoratori i sindacati puntano alla pensione anticipata con Quota 41 per i «lavoratori fragili». Che sono identificati nei malati immunodepressi, riceventi o in attesa di trapianto, diabetici, cardiopatici pazienti in dialisi. Nonché i soggetti che non possono prestare attività lavorativa perché giudicati inidonei al lavoro e coloro che sono impegnati in settori con un più alto rischio di contagio come la sanità e i trasporti.
La proposta dell’Inps
Anche l’Istituto di previdenza sociale è sceso in campo con la proposta del presidente Pasquale Tridico. Che punta alla divisione della pensione in due parti da calcolare con metodi diversi . Una parte contributiva, legata esclusivamente al montante accumulato durante la carriera lavorativa a partire dal 1997, che si può anticipare con calcoli ad hoc. E una parte retributiva, legata invece alle retribuzioni dei primi anni di attività, che si otterrebbe solo a 67 anni. L’ anticipo pensionistico per la parte contributiva si potrebbe dare a 62-63 anni mentre il resto (la quota retributiva) la si otterrebbe a 67 anni. Una misura in due step che non manderebbe in rosso i conti previdenziali e garantirebbe una certa flessibilità. Per andare incontro alla necessità delle donne, penalizzate anche dalla chiusura delle scuole, si potrebbe studiare di chiedere un anno in meno di contributi per ogni figlio.
Ape sociale più larga
Sempre più corpo prende l’ipotesi dell’Ape sociale allargata. Nella sua formula originale prevede l’anticipo pensionistico previsto per le persone di 63 anni, che rientrano nelle categorie socialmente deboli e che siano in possesso di almeno 30 anni di anzianità contributiva. L’obiettivo è quello di estendere il più possibile la platea con una nuova lista di lavori gravosi che consentirebbero di accedere all’Ape sociale. Tre sono parametri con i quali individuare nuove mansioni faticose o pericolose: frequenza, gravosità degli infortuni e delle malattie professionali. Non solo, L’Ape social potrebbe essere estesa anche a disoccupati di lunga durata o a chi non ha diritto alla Naspi (l’indennità di disoccupazione). Peraltro, per l’Ape social riferita ai lavorai gravosi, i sindacati vorrebbero la riduzione da 36 a 30 anni di contributi in modo da far rientrare molte categorie di lavoratori oggi esclusi, come gli addetti all’edilizia, gli agricoli ed i marittimi.
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