Tentazioni texane nella destra italiana
di Antonio Polito
La destra del futuro sarà texana? In poche settimane il governatore repubblicano di quello Stato, Greg Abbott, ha emanato una legislazione che è un po’ la summa del nuovo conservatorismo radicale: insieme illiberale e libertariano. I due provvedimenti più celebri sono infatti la legge che nega il diritto all’aborto dopo la sesta settimana, togliendo alla gestante la libertà di scelta, e l’ordine esecutivo che proibisce l’imposizione del green pass o di qualsiasi obbligo vaccinale, che invece dà al cittadino totale libertà di scelta. Poiché entrambe le norme intervengono sul delicato tema bioetico dei trattamenti sanitari, anche più clamorosa appare la loro contraddizione interna. Da un lato si rifiuta ogni paternalismo medico, stabilendo che nessuno è tenuto a fare qualcosa neanche «per il suo bene» (come nel caso dei vaccini); dall’altro si introduce il paternalismo etico dello Stato, che decide al posto della donna anche quando è in discussione il suo bene (l’aborto è parimenti vietato in caso di stupro o incesto). L’autorità pubblica può insomma stabilire l’obbligo di gravidanza ma non di vaccinazione. Stato minimo e Stato massimo allo stesso tempo.
Questo complicato rapporto con la libertà (il Texas ha pure ristretto il diritto di voto) si sta manifestando anche in Italia nei comportamenti di alcuni settori di una destra, certo diversa da quella americana per storia e cultura, ma nella quale tendenze anarco-libertarie contro la certificazione vaccinale convivono sempre più spesso con tradizionalismi e moralismi in materia di libertà personale, sessuale e procreativa. Così una destra che non è mai stata liberale, nel senso berlusconiano del termine, e non è mai diventata liberista in economia, si è fatta libertaria sui vaccini oltre ogni ragionevole dubbio.
Non sempre, non tutti. In materia di green pass, per esempio, il gruppo dirigente della Lega che governa, nelle regioni o a Roma, ha espresso con chiarezza il suo ragionevole dubbio: più green pass più libertà per tutti, è la mirabile sintesi di Giancarlo Giorgetti. Ma il messaggio dei leader, Salvini e Meloni, è invece sorprendente per quanto rischia di mettersi in rotta di collisione con il buon senso, oltre che con lo stesso passato dei due partiti e alla lunga perfino con il loro elettorato. L’agitazione continua e ossessiva contro il certificato vaccinale sembra infatti l’opposto di quel motto «legge e ordine» che da sempre è la pulsione principale del voto di destra; e di quella richiesta di interventismo dello Stato che invece è tipica dei ceti più deboli e impauriti dalle vicende della modernità. Mentre invece rafforza il carattere «antagonista» e protestatario di partiti che alla resa dei conti mostrano quasi paura di governare, e di assumersi le responsabilità che questo comporta (le cose che vanno fatte perché si deve, secondo il noto brocardo di Draghi). In questo modo la spinta, anche comprensibile, a interpretare le paure di una parte minoritaria della popolazione — come ha scritto Mauro Magatti sul Corriere — non si trasforma in mediazione per renderla politicamente sensata, ma in distacco progressivo dal sentimento della parte maggioritaria.
Seppure a un livello minore, questa stessa incapacità di diventare «normali» sta caratterizzando anche la campagna elettorale amministrativa. Già nella scelta dei candidati per le grandi città era sembrato prevalere un atteggiamento rinunciatario: dirigenti politici di primo piano da mettere a capo della destra nelle grandi città non sarebbero mancati né a Salvini né a Meloni, mentre invece gli «indipendenti» selezionati dopo lungo cogitare si sono fin qui mostrati non sempre all’altezza.
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