La politica che manca all’Europa
L’Unione europea dice di voler costituire forze armate comuni senza stabilire preliminarmente, però, chi avrà il potere di decidere come e dove impiegarle e attraverso quale procedura
A lla fine la brutale evidenza dei fatti ha avuto la meglio e nei giorni scorsi i vertici dell’Unione europea e dei maggiori Stati che la compongono hanno dichiarato praticamente all’unanimità che è giunta l’ora che la Ue abbia un esercito comune (e anche un’intelligence comune, si sono spinti a dire). Un esercito — sembra di capire — concepito non già per le cosiddette «missioni di pace» — come quelle che i vari eserciti europei conducono da decenni, coordinati ma ognuno per proprio conto e con non eccelsi risultati — bensì per fare ciò a cui da alcuni millenni servono gli eserciti: per fare la guerra o minacciarla.
Ma è difficile, assai difficile, che alle intenzioni seguano i fatti. Per una ragione soprattutto: e cioè che l’Unione europea dice di voler costituire un esercito senza stabilire preliminarmente, però, chi avrà il potere di decidere come e dove impiegarlo e attraverso quale procedura. Una dimenticanza non da poco. D’ora in avanti, infatti, non si tratterà più, com’è sempre avvenuto finora per i vari eserciti europei, di aderire a decisioni d’intervento prese da organismi terzi, tipo la Nato o le Nazioni Unite. D’ora in avanti, viceversa, s’immagina che ci sia una qualche autorità specificatamente europea investita del potere di alzare il telefono e — con un’iniziativa del tutto autonoma, svincolata da qualsiasi altra — di ordinare al comandante dell’esercito dell’Unione di intervenire in questa o in quella parte del mondo.
M a quale sarà mai l’autorità dotata di un simile potere? Un potere tanto più grande in quanto, tra l’altro, il previsto esercito europeo non è certo pensato soltanto come uno strumento difensivo, per rispondere a una (del tutto inimmaginabile) aggressione contro uno Stato dell’Unione (caso, eventualmente, di immediata pertinenza della Nato), bensì in tutt’altra ottica. Esso dovrebbe servire infatti come strumento operativamente offensivo, a tutela di interessi chiave della Ue da definire di volta in volta. Con una decisione intrinsecamente di politica estera, insomma, implicante una proiezione militare che in qualche modo potrebbe dar luogo anche ad un conflitto bellico sia pure di portata limitata.
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