Le vere libertà e i falsi miti
Certi rimedi contro il Covid, «miracolosi» eppure non riconosciuti dalla comunità scientifica, sono i liocorni di questa nostra stagione travagliata
A circa tre lustri dalla nascita di Facebook e Twitter, le nostre democrazie, basate su partecipazione e libero consenso, fanno ancora grande fatica a prendere le misure alla piazza virtuale e ai cittadini della Rete. Il Covid, gigantesco specchio deformante dei guai che ci affliggono, ha enfatizzato tali difficoltà, moltiplicando la circolazione di menzogne e falsi miti quanto quella delle proprie varianti. È un fenomeno che potremmo esemplificare nel paradosso del liocorno: si può dimostrare l’esistenza di qualcosa ma è impossibile dimostrare in via definitiva che qualcosa non esiste. Posso cioè provare che esistono i cavalli ma non che non esistono i liocorni, argomenta un esperto di credenze collettive come Gerald Bronner: se affermo che i liocorni non si sono mai visti e che sono contraddetti dalla zoologia riconosciuta, ci sarà senz’altro qualcuno che, adombrando un complotto, mi obietterà che dubita della scienza ufficiale (alla quale del resto è lecito imputare molti errori), che possono nascondersi liocorni in anfratti inesplorati, che un suo conoscente ne ha appena incontrato uno, che può mostrarcene persino le tracce delle quali, sicuramente, ha una documentazione fotografica da esibire.
C erti rimedi contro il Covid, «miracolosi» eppure non riconosciuti dalla comunità scientifica, sono i liocorni di questa nostra stagione travagliata: si proclama non solo che esistono ma che funzionano «di sicuro», ed è inutile che proviate a confutarne l’efficacia. Se, per avventura, vi imbatterete nella narrazione social sull’ivermectina, l’antiparassitario assunto come prodigioso da numerosi no vax, sarete sommersi da link pseudoscientifici sui suoi successi e solo con un paziente lavoro di demistificazione avrete qualche possibilità di venirne a capo. Vi inonderanno di copertine del magazine «Mountain Home» sul farmaco che «ha bloccato il Covid» in un ospedale di Buffalo e su Judy, la nonnina ottantenne che, salvata dal medico negazionista Pierre Kory, guida la lotta mondiale per fermare la pandemia e sbugiardare noi, giornalisti corrivi con le case farmaceutiche dominanti. Vi riempiranno di mail e post sui trionfatori della malattia grazie ai suffumigi allo zenzero e di santini di Robert Malone, il medico ospite di War Room di Steve Bannon ad agosto e del nostro Senato pochi giorni orsono, che si è falsamente attribuito l’invenzione dei vaccini mRNA, ha falsamente sostenuto che Pfizer fosse un vaccino diverso da Comirnaty (che ne è il nome commerciale), ha propalato tra i primi la teoria fasulla secondo cui le varianti nascono come reazione al vaccino».
I tifosi di Malone e di Kory ne sapranno sempre una più di voi, perché il fazioso digitale è un monomaniaco compulsivo che passa il tempo a cercare evidenze per le proprie teorie. Questa circolazione di falsità sostenute da «prove inconfutabili» è motivo di affanno per molti sistemi democratici. La prima stagione del trumpismo, conclusasi con la più gigantesca fake news dei nostri giorni (le elezioni che sarebbero state «rubate» da Biden, menzogna della quale è ancora convinta la maggioranza dei repubblicani e che ha condotto all’insurrezione del 6 gennaio), s’è presentata subito con una surreale alterazione della realtà: contestando le immagini aeree che mostravano come all’inaugurazione del magnate nel 2017 ci fosse sul National Mall circa un terzo del pubblico rispetto all’insediamento di Obama nel 2009, lo staff del neopresidente ha dapprincipio accusato la stampa di «voler sminuire il sostegno enorme» per Trump e poi, di fronte all’ironia di tutti i media, ha avanzato la strabiliante teoria dei «fatti alternativi» (come dire: piove o c’è il sole? Dipende dai punti di vista).
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