I giustizialisti di cartapesta

Paolo Guzzanti

Un altro mostro di cartapesta viene giù dalla diabolica Disneyland italiana: la trattativa fra Stato e mafia, uno dei mostri più laboriosi, complicati, fabbricato a tavolino, non c’è stata. Mai. Assolti tutti: da Marcello Dell’Utri – l’unico ad essere assolto «per non aver commesso il fatto» – che, nel fantastico e travagliato bestiario del travaglismo e dintorni, avrebbe dovuto fare da ponte per incastrare Berlusconi e la mafia e farlo apparire non una vittima di minacce e soprusi, ma un compare di Totò Riina. Tutto falso e anche fabbricato. Il povero generale Mario Mori, che ho conosciuto da Presidente di una commissione d’inchiesta ed ebbi da lui, capo del Sisde, la più totale e completa collaborazione, è stato assolto perché il fatto non costituisce reato. Fu lui ad arrestare il capo dei capi, Riina, che ha finito male i suoi giorni in galera. E lo stesso dicasi per gli altri ufficiali del Ros, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno. L’unico condannato resta, con lo sconto di un anno, il boss Leoluca Bagarella. La storia è una delle più torbide e angoscianti della vera notte buia della Repubblica. L’inchiesta aveva lo scopo di disonorare tutti i servitori dello Stato che hanno annichilito Cosa Nostra, la quale, da allora, è ridotta ad una associazione molto poco potente, facendone i loschi congiurati di un complotto: quello per intavolare illegalmente una «trattativa» col crimine organizzato, cedendo favori nella vita all’interno delle carceri in cambio della garanzia che Cosa Nostra avrebbe smesso con lo stragismo che era cominciato con l’attentato sull’autostrada di Capaci, era proseguito con le bombe di via D’Amelio e poi con una serie di attentati terroristici sulla penisola, a Roma e a Firenze in particolare, ciò che non era mai accaduto nella storia della mafia siciliana. Troppe furono le cose che accaddero allora e che non erano mai accadute né prima né dopo. Oggi questa faccenda insanguinata ci appare anche come una prebenda messinscena per uccidere Falcone che viveva a Roma come dirigente del ministero di via Arenula, l’uccisione di Paolo Borsellino, di cui notoriamente Falcone si serviva quando aveva bisogno di qualche indagine, visto che lui non era più un procuratore.

Ad oggi dobbiamo dire che ancora non sappiamo nulla, a parte i nomi della bassa manovalanza, non si conoscono i moventi di quel delitto la mafia non dà Oscar alla carriera, scrisse allora un magistrato -, per far fronte a quale immediato pericolo Cosa Nostra avesse deciso di eliminare Giovanni Falcone e di farlo in un modo inutilmente spettacolare come una operazione di commando militare. Ma lo scopo finale della messinscena della mai avvenuta trattativa era chiarissimo: attaccare Dell’Utri perché siciliano e sodale di Berlusconi, per poter poi attaccare Berlusconi, facendone un complice persino nei due delitti più infami della storia del nostro Paese, quelli che spensero le vite di Falcone e Borsellino. Per raggiungere lo scopo di quella caccia alle streghe furono usati tutti gli strumenti delle guerre segrete.

La Procura, sconfitta, non ha commentato e in questo fa bene. Ma tutti sanno che i giudici hanno partecipato mediaticamente a molti dibattiti, facendo propaganda per il loro prodotto, prima che si arrivasse alla sentenza. Giova ricordare che la Suprema corte di Strasburgo ha chiesto al governo italiano se davvero da noi sia possibile processare un cittadino della Repubblica di nome Berlusconi Silvio senza garantire tutti i diritti della difesa e usando anche una legge retroattiva. L’Europa è sconcertata e per questo sta chiedendo a gran voce al presidente del Consiglio Draghi di condurre alla svelta e in modo molto incisivo le riforme di cui il nostro Paese ha bisogno, a cominciare proprio da quella della giustizia.

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