Draghi e il destino dei partiti

Marco Follini

Caro direttore,

il silenzio di Draghi è una criticità per i media, ma è un’occasione per i partiti. Esso crea un vuoto sulla scena mediatica, ma allarga i confini della scena politica. Un presidente del consiglio così sobrio di parole (fin troppo, dice lei) ha forse il merito, e l’accortezza, di lasciare alle forze della sua maggioranza uno spazio più ampio nel quale darsi da fare per elaborare una visione e non solo cercare di afferrarne qualche brandello qua e là.

E’ evidente infatti che quasi tutti i soci della coalizione che sostiene il premier si trovano un po’ a malpartito, se così si può dire, nel bel mezzo dei loro conflitti. Alcuni per antica scuola appaiono più disciplinati, altri praticano con troppa disinvoltura il doppio registro del governo e della lotta, altri ancora confidano nella forza maldestra del loro nervosismo. Ma ognuno di loro fatica a capire il nesso tra la disciplina a cui la situazione li costringe oggi e tutto il potere e tutte le libertà di cui confidano di riappropriarsi in un domani non troppo lontano. Dato che questo copione si ripeterà, si tratta allora di capire come si può dare un costrutto a tutto ciò. Ora, a me pare che se Draghi desse l’idea di coltivare in proprio un canonico progetto politico la conflittualità nella maggioranza sarebbe ancora più aspra e nervosa. Mentre proprio quella sua attitudine a tenersi alla larga dai riflettori sembra confermare a tutti loro che non ci sarà mai un “partito” di Draghi, e che le sue conquiste pubbliche, quali che saranno, non faranno mai troppo ombra ai partiti attuali, detentori di un presente scarno ma in cerca, tutti loro, di un futuro più promettente.

Dunque, la palla torna alle forze politiche. Nessuna delle quali sembra aver capito fino in fondo la portata della sfida che le riguarda. Infatti il gioco di prendere di volta in volta qualche distanza gli uni dagli altri, e tutti insieme dal premier, avrebbe un senso se il contesto dovesse rimanere sempre quello attuale. Ma se invece Draghi allarga il vuoto della politique politicienne è ovvio che gli sparsi detentori di quel marchio (o, più nobilmente, di quella ambizione) prima o poi dovranno elaborare un’idea più ampia di se stessi e del paese.

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