Caso Morisi, i 4 punti oscuri dell’inchiesta che imbarazza Salvini
Grazia Longo, Niccolò Zancan
La prima domanda è: in quanti erano? Forse siamo stati tutti tratti in inganno dalla testimonianza della vicina di casa, l’inquilina del piano di sotto, la signora Cristina Fioravanzo, che così ricorda i giorni prima di ferragosto: «Tesla, la mia cagnetta, ha incominciato ad abbaiare la sera del 12 agosto. Non c’era mai nessuno nell’appartamento di Luca Morisi. Quindi ogni movimento insolito la faceva correre avanti e indietro nel giardino». Dice di aver visto tre persone. E dopo la perquisizione dei carabinieri, avvenuta il pomeriggio del 14 agosto, dice che solo una di quelle tre persone è tornata a dormire nell’appartamento di Morisi. Non era, evidentemente, il padrone di casa. Ma non erano neppure i due ragazzi romeni pagati per la festa. Quindi il dubbio resta: esiste una quarta persona? Nelle carte investigative non c’è. Ma l’incertezza è alimentata anche da altre testimonianze. Alcuni vicini notano una Bmw nera proprio in quei giorni, intorno alla casa del politico che curava la comunicazione della Lega. Ricordano un uomo di mezza età: «Sui cinquant’anni». Ma da Milano a Belfiore, in auto partono due ragazzi. Uno ha un cappellino da baseball rosso, l’altro uno zainetto. Avevano pattuito di passare una giornata con Luca Morisi, notte compresa, per 4 mila euro. Soltanto uno dei due compare nelle carte dell’inchiesta. La sua testimonianza è questa: «La droga era in casa di Morisi, è stato lui a offrirle. Ma sono stato così male che ho avuto paura di morire. Deliravo, non mi era mai successa una cosa del genere, sono scappato, ho chiamato io i carabinieri». Ma perché se uno sta male chiama i carabinieri invece del 118? Ecco la seconda domanda. Sono passate le tre di pomeriggio del 14 agosto, quando al 112 arriva la telefonata del ragazzo: «Dovete venire subito a Belfiore. Abbiamo litigato. Un uomo ci deve dei soldi ma non ce li vuole dare». Poco dopo chiama i carabinieri una seconda volta: «Venite subito. Io mi sento male e a casa di Morisi c’è un sacco di droga». Non era quindi un controllo stradale ordinario. Come da giorni andava ripetendo la procura di Verona. Era la richiesta d’aiuto di un ragazzo che stava male. Solo che non ha cercato un dottore, inoltre ha sostenuto qualcosa che si è rivelato inesatto: durante la perquisizione a casa di Luca Morisi i carabinieri hanno trovato due grammi scarsi di cocaina, compatibili con la modica quantità per uso personale. Era una trappola? Davvero i ragazzi non erano stai pagati così come concordato? 2500 euro prima e 1500 euro dopo. Perché era furioso? Era per i soldi? Era per la droga? Era una vendetta? Eppure no, perché il ragazzo non ha raccontato quello che è successo per più di un mese. Non ha cercato nessuno, non si è messo in contatto neppure con il suo avvocato d’ufficio, il cui nome compare negli atti. In compenso è stato male: «Sono stato diverse volte in ospedale». Ed è tornato in Romania accompagnato dai genitori.
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