Quando sarai grande

Mattia Feltri

Ho cercato anche sul dizionario dei sinonimi e contrari senza tuttavia scovare l’aggettivo adatto a definire Matteo Salvini, un’ora prima garantista con Luca Morisi (e fa benissimo) e l’ora dopo giustizialista con Mimmo Lucano (e fa malissimo). Un andirivieni più da yoyo che da essere senziente, un algoritmo in felpa incapace, mentre promuove referendum sulla giustizia giusta, di riconoscere l’innocenza costituzionale di un uomo condannato in primo grado. Però dall’altra parte non se la cavano tanto meglio: a sinistra la difesa di Lucano si muove non soltanto per inedita e benvenuta foga, ma in particolare sul presupposto che Lucano è buono e faceva del bene.

Auguro a Lucano di uscirne con un’assoluzione e colgo l’assurdità della pena, tredici anni, incredibilmente più di quanti inflitti a Luca Traini, lo stragista di Macerata. Ma l’adolescenza dovrebbe essere l’età giusta per apprendere che la nobiltà e l’ignobilità dei fini non stabiliscono se un reato è stato commesso o no, altrimenti si finisce col pensare che Salvini andasse condannato perché la sua politica era pessima e Lucano assolto perché la sua politica era ottima. Ed è esattamente quello che si pensa e quello che si rivendica, senza rossori, affidando ai tribunali le cose della politica poiché la politica non sa indicare il giusto e lo sbagliato: lo può certificare soltanto un giudice. Si chiama panpenalismo ed è il delirio trentennale per cui la giustizia, da chi la amministra, la regola, la commenta, a destra e a sinistra, è stata ridotta a una burletta morale, e una giustizia da burletta fa il male della destra, della sinistra e di ognuno di noi.

LA STAMPA

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