L’assedio finale al Capitano: “Attaccano Morisi per colpire me”
Jacopo Iacoboni
L’assedio finale a Matteo Salvini è in pieno corso. Le due settimane che il leader della Lega si lascia alle spalle, e culmineranno con il voto rischiosissimo delle amministrative di domenica, sono troppo dense di eventi sfavorevoli per poter pensare solo a una serie di circostanze casuali. Semmai, un mix di errori politici e forse arroganze anche caratteriali stanno producendo conseguenze anche su altri piani, affondando l’uomo che due anni fa, prima del Papeete, sembrava il potenziale padrone d’Italia.
In fondo è stato Giuseppe Conte a farlo intuire, sia pure negandolo: «Cacciamo via questi pensieri di una giustizia a orologeria, che abbiamo sentito troppe volte. Però, dobbiamo evitare strumentalizzazioni politiche». In una sola frase veniva alzato il velo su tutti i pensieri che effettivamente circolano attorno alla Lega, sia tra avversari sia tra amici, o ex amici, o addirittura tra i leghisti. Salvini stesso l’ha capito, e anzi l’ha detto apertis verbis parlando con Radio Capital: «Questa storia di Morisi mi sembra molto sospetta, ma non ho letto le dichiarazioni dei ragazzi». E ancora: «Attaccano Morisi per attaccare me: è un’inchiesta senza prove, un errore privato che non ha rilevanza penale. Se finisse senza alcun reato, nessun processo, chi gli restituisce la dignità? Gli spacciatori sono venditori di morte. Far l’amore a pagamento è una questione politica?». Dove, a parte sentir parlare Salvini come un garantista liberal (nel caso di Morisi, pochi tra i garantisti e i liberal sono stati garantisti e liberal), colpiscono due cose: uno, il capo leghista è ormai convinto che gli stiano andando addosso. E però, e è il secondo punto, non si fa la domanda politica: se è così, perché avviene questo assedio finale?
Una risposta sicura non c’è, ma si possono mettere in fila i fatti, una congerie di errori politici, o di scontri o frizioni che ha avuto Salvini in tutta l’ultima fase, e su cui non sembra essersi interrogato. Il primo, raccontato dalla Stampa per prima due settimane fa, è l’acuirsi del dualismo con Giancarlo Giorgetti, approfonditosi tutta l’estate, tanto Salvini insiste e pesta (ancora) su immigrazione e sovranismo quanto Giorgetti – ormai soprannonimato nella Lega “l’oracolo” – parla di «federalismo», di «partite Iva», di una Lega che torni a pensare soprattutto al Nord, e nel frattempo ha un’interlocuzione solida con l’ambasciata americana, oltre che con il premier Mario Draghi. Anche se, ci dice una fonte leghista che li conosce bene entrambi, «la vera altra polarità nella Lega non è Giorgetti, è Zaia».
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