Le elezioni dei sindaci: centrodestra e M5s rischiano il flop, il Pd fa la sua partita sulle grandi città
Il Pd, il partito che porta nella sua memoria la tradizione delle grandi piazze, ha preferito frazionarsi: a sostegno di Roberto Gualtieri quindici comizi in altrettanti piazze di altrettanti Municipi. La sindaca Virginia Raggi, portatrice di un consuntivo controverso, è riuscita in un’impresa quasi inimmaginabile: farsi sostenere in una volta sola dai tre personaggi più influenti del M5S – Giuseppe Conte, Beppe Grillo e Luigi Di Maio – che si sono talora apostrofati con epiteti di solito riservati agli avversari.
E infatti alla Bocca della Verità, quando si è collegato Grillo, la sindaca ha sudato freddo e ha dovuto spesso “tamponare” l’ex guru del Movimento. «È giusto che la mia voce torni a farsi sentire in una piazza» ha detto Grillo, sottolineando poi: «In qualsiasi modo possa andare questa elezione, tu non sparirai!». E Raggi, subito: «Ma qui la piazza borbotta, ce la faremo!». Grillo ha rincarato la dose: «Ogni romano è un Nerone!». E Raggi: «Beppe, abbiamo iniziato a invertire la rotta…». E lui, quando ha accennato a Conte, senza mai nominarlo, lo ha apostrofato da par suo: «Il nostro Mago di Oz…». A seguire la manifestazione una buona presenza ma lontanissima dalle vette romane del passato e su Facebook l’ascolto ha oscillato tra 1700 e 2650 persone. Roma, Grillo a Raggi: “Se perderai non sparirai dal Movimento”. Ma la piazza protesta
Roma è una sfida che vale doppio: non è soltanto la Capitale, è anche una città politicamente assai simbolica. La rampante Giorgia Meloni si gioca molto: ha voluto a tutti i costi un candidato “suo”, Enrico Michetti, per una ragione che ha spiegato mesi fa nel chiuso di un vertice del centro-destra: «Quando chiamo in Campidoglio voglio un sindaco che mi risponde al telefono». E Berlusconi le rispose: «Attenzione con candidati di basso profilo, perché poi a risponderti al telefono sarà Gualtieri…». FDI, Conte: “Rispettiamo inchieste, ma via pulsioni xenofobe e finanziamenti illeciti dai partiti”
Ma anche il Pd si gioca molto: a Roma la sinistra ha iniziato a governare nel 1976 con le giunte rosse, ha continuato a cavallo dei due secoli (Rutelli e Veltroni) ma ha finito male. Con i consiglieri del Pd che 5 anni fa, vergognandosi di farlo in Consiglio comunale, per dimissionare il proprio sindaco Ignazio Marino, si sono messi in fila davanti al notaio. Una procedura che ancora pesa nel voto a sinistra. Come dimostra il corteggiamento alla dichiarazione di voto di Marino, operazione conclusa con un flop ma da una dichiarazione di Marino da Prima Repubblica: «Voto a Filadelfia….».
TORINO (di Maurizio Tropeano)
Damilano e Lo Russo è una sfida al fotofinish con un occhio al M5S
«Paolo è stato bravo, ha aperto spazi in questa città che per la Lega era molto difficile intercettare. Ha fatto un buon lavoro. Ma alla fine gli elettori sono sovrani». Le parole di Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, spiegano il motivo che ha spinto tutti i leader del centrodestra a venire a Torino a più riprese. Per la prima volta, infatti, il governo della città può finire nelle mani del centrodestra che, come a Venezia e Genova, ha scelto di affidarsi a un imprenditore. Bordate tra Pd e M5S nel dibattito condotto dal direttore Giannini. E Damilano punta al centro
Conquistare il capoluogo del Piemonte potrebbe impedire quel cappotto sognato da Enrico Letta. Per il segretario del Pd riprendersi Torino dopo la brutale sconfitta subita dal M5S e da Chiara Appendino, sarebbe comunque un segnale politico importante, il primo passo per dimostrare che il Pd non è il partito della Ztl ma è riuscito a tornare nelle periferie. Quelle periferie, soprattutto i borghi della zona Nord, che nel 2016 votarono in massa per Appendino. «Abbiamo capito e imparato la lezione» ha spiegato Stefano Lo Russo, il candidato scelto con le primarie.
Se questo è lo schema di gioco del centrosinistra, allora si spiega così la sua scelta di portare i leader del centrosinistra nei mercati popolari della città facendoli accomodare su sedie pieghevoli dalle quali ascoltare i cittadini. Zero «romani» anche nell’evento di chiusura organizzato nel parco della Tesoriera dove sono arrivati, da luoghi diversi, i sostenitori delle sei formazioni che lo sostengono. Con lui gli ex sindaci Valentino Castellani e Sergio Chiamparino. «Il mio obiettivo è di ricucire Torino, ricucire le periferie senza dimenticare il centro». E il modo migliore di farlo è puntare “sul lavoro”, non quello povero ma quello che garantisce retribuzioni giuste. Dal suo punto di vista “serve una progettazione condivisa con le forze economiche, il volontariato, le fondazioni bancarie e le università del futuro della città e dell’uso delle risorse del Pnrr”.
Damilano, invece, ha scelto di chiudere la sua campagna elettorale con Giorgetti, il primo che l’ha spinto ad impegnarsi in politica. Il ministro è venuto a Torino due volte in cinque giorni mettendogli a disposizione la rete di imprenditori che guarda con favore alla Lega di governo che si è schierata con Mario Draghi. Enrico Salza è tra i padri di quell’alleanza tra borghesia liberale della città e Pds guidato da Chiamparino, portò il centrosinistra alla guida della città nel 1993. L’ex banchiere non si è schierato ma ha parlato di Giorgetti come di un amico. E dalla scorsa domenica Damilano – che ha creato e finanziato due liste civiche, una delle quali raccoglie transfughi dal centrosinistra – ha accentuato ancor di più il suo civismo fino a schivare il comizio di Matteo Salvini in Barriera di Milano. E il giorno dopo, nel dibattito moderato dal direttore de La Stampa, Massimo Giannini, alla domanda «lei è di centrodestra?» ha risposto così: «Sono moderato e liberale».
Ieri Giorgetti ha rinnovato la benedizione: «Ovunque ho invocato il sindaco imprenditore, non soltanto amministratore». Poi gli offre un assist politico guardando al possibile ballottaggio. Il suo obiettivo è di allargare la già profonda frattura che separa la sindaca da Lo Russo e dal centrosinistra. Secondo il ministro le «Atp Finals sono state per Torino una occasione. Fatemelo dire: onore ad Appendino».
Già, i Cinquestelle. Il Movimento che al primo turno nel 2016 venne votato da un torinese su tre, ha perso per strada quasi il 20 per cento di quel consenso (alle regionali del 2019 arrivò al 13,9). In corsa c’è Valentina Sganga che rivendica la continuità con la giunta Appendino e che anche se si descrive come una donna di sinistra non darà indicazioni di voto al secondo turno. Appendino, che insieme con Sergio Chiamparino, aveva lavorato per una candidatura esterna – il rettore del Politecnico, Guido Saracco , in grado di guidare una coalizione giallo-rossa – non ha risparmiato veleni al Pd torinese fino a paragonarlo alla destra. Una linea condivisa con Giuseppe Conte. Dunque, nessun accordo e nemmeno indicazioni di voto al secondo turno ma solo il «buona fortuna» dell’ex premier. Lo Russo non è stupito: «Avete mai sentito Appendino attaccare Damilano?». Su diritti civili e grandi opere promesse dal candidato di centrodestra un affondo, in realtà, c’è stato. Giorgetti, comunque, un segnale alla sindaca l’ha mandato.
MILANO (di Chiara Baldi)
Sala è il super favorito ma teme l’affluenza bassa
Il verdetto sembra ormai scontato – centrodestra sconfitto al primo
turno – anche se Giuseppe Sala, sindaco uscente e ricandidato, sa che
con 12 sfidanti, 28 liste e migliaia di candidati, il rischio
ballottaggio c’è. Così come non è remota la possibilità che l’affluenza,
già non altissima nel 2016 (56%) possa essere ancora più bassa. Ma lui
dice dal palco, davanti al suo predecessore Giuliano Pisapia e alla
segretaria dem di Milano Silvia Roggiani, nella serata di chiusura della
sua campagna elettorale: «Io ho voglia di fare il sindaco». Certo le
ultime notizie – l’inchiesta su Fanpage su Fratelli d’Italia a Milano –
non hanno avvantaggiato il primo sfidante di Sala, Luca Bernardo, già
fortemente provato dai dissidi interni alla sua coalizione. Però Sala
continua a appellarsi ai suoi concittadini: «I milanesi sono consapevoli
che i prossimi cinque anni saranno fondamentali». E per questo chiede
un ultimo sforzo al Pd, il partito che lo sostiene: «Se portiamo a
votare i nostri almeno al 90 per cento è fatta e possiamo farcela anche
al primo turno». In ogni caso, ricorda il primo cittadino, «vedremo
lunedì».
NAPOLI (di Antonio E. Piedimonte)
Laboratorio nazionale per il governo. Il ritorno di Bassolino riapre i giochi
La guerra delle liste, la spinosa convivenza con i vecchi partiti, la
variabile Bassolino. Su una cosa a Napoli sono tutti d’accordo: queste
elezioni post “rivoluzione” (fallita) sono sui generis. La fine della
parabola del sindaco De Magistris ha coinciso con l’estinzione degli
“arancioni” (in fuga verso altri lidi). Chi voterà la sua pupilla, l’ex
superassessore Alessandra Clemente? In pochi stando ai sondaggi. Dai
tradimenti alle faide, che neppure l’ex pm Catello Maresca (che pure
arrestò Zagaria) è riuscito a evitare. Così come il pasticcio delle
liste escluse e il grande freddo con Salvini e Meloni. Tra i litiganti è
spuntato un vecchio leone della Prima Repubblica: Antonio Bassolino,
che ha sedotto sia i nostalgici del presunto “Rinascimento” sia gli ex
camerati che un tempo lo volevano menare. Infine, il vincitore
annunciato, Gaetano Manfredi, già abile rettore e competente ministro,
candidato civico pure lui, con l’appoggio di 13 liste, con M5S e dem (il
famoso “laboratorio nazionale”), e poi renziani, mastelliani, ex
berlusconiani, ex arancioni e deluchiani. La settimana scorsa era dato
al 48%, basterà per passare al primo turno? Anche perché il secondo non
sarebbe una passeggiata.
BOLOGNA (di Franco Giubilei)
Veleni sull’attesa vittoria dem, esclusi dalle liste i renziani ribelli
Se l’esito delle elezioni bolognesi sembra segnato, con sondaggi che
danno Matteo Lepore del Pd vincente al primo turno, l’aspetto più
interessante è invece il riassetto interno ai dem cominciato con
l’affermazione del candidato del centrosinistra alle primarie sulla
renziana Isabella Conti. Dopo che l’assessore alla Sicurezza, Alberto
Aitini, e due suoi colleghi hanno dichiarato il loro sostegno alla
Conti, i ribelli sono stati esclusi dalla lista Pd e la vicenda è
arrivata alla segreteria nazionale per un’eventuale iniziativa
disciplinare.
Le conseguenze della frattura si sono tradotte nell’assenza nella lista dem di candidati di Area riformista, cioè i renziani. Si prevedono effetti sui congressi locali che preludono all’assise nazionale Pd del 2023. A Bologna si affrontano 19 liste, sette a supporto di Lepore. Gli altri candidati sono il civico Fabio Battistini sostenuto anche da Lega, FdI, FI e Popolo della famiglia, Stefano Sermenghi per Bologna forum civico, Dora Palumbo per Sinistra unita, Marta Collot per Potere al popolo, Andrea Tosatto per 3V libertà verità, Federico Bacchiocchi per il Partito comunista dei lavoratori e Luca Labanti per Movimento 24 agosto.
LA STAMPA
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