Le promesse e la verità del colibrì
Non è credibile che entro il 2030 si possa fare a meno dei combustibili fossili. E non è alzando gli obiettivi oltre misura che si riuscirà a raggiungere traguardi importanti
L’ immagine più commentata di questi giorni di incontri milanesi sul clima ritrae Greta Thunberg che lancia, al di sopra della mascherina, uno sguardo incredulo al nostro ministro della Transizione ecologica. Anzi, Roberto Cingolani sembra quasi inginocchiarsi davanti alla giovane attivista svedese. La sintesi, a giudicare dai tanti commenti, è una sola: i giovani non credono alle promesse dei governi. E fanno bene. Migliaia di ragazze e ragazzi hanno sfilato per le vie milanesi. Hanno «assediato» i luoghi della conferenza che preparava il vertice (Cop 26) di Glasgow, scandito i loro slogan. Alcuni, insieme a Greta e Vanessa Nakate, hanno partecipato agli incontri ufficiali, portando non solo legittime preoccupazioni, ma anche entusiasmo e ansie ideali. Oltre al sogno (che per ora resta tale) di un mondo che arrivi, a metà secolo, alla neutralità delle emissioni e riesca a contenere l’aumento della temperatura al di sotto di 1,5 gradi. Attivisti e capi di Stato e di governo, ministri, si sono parlati. Ed è già questo un risultato straordinario. In altre epoche, su temi di portata più ideologica e meno apocalittica, il dialogo era inesistente. E lo scontro nelle piazze violento e sanguinoso. Questi giovani sono da ringraziare per il loro impegno. Sono migliori di quelli, più ribelli, delle generazioni dei loro padri e dei loro nonni. Ma non vanno ingannati con promesse sulla tutela dell’ambiente che chi ha responsabilità di governo — e conosce la complessità della transizione energetica — sa di non poter mantenere.
Come, tanto per fare un esempio, che entro il 2030 si possa fare già a meno dei combustibili fossili. Non è credibile. Petrolio, carbone e gas naturale pesano ancora per l’80 per cento del fabbisogno energetico e per il 65 per cento nella produzione di energia elettrica. Non è alzando gli obiettivi oltre misura che si riuscirà a raggiungere traguardi ecologici tanto importanti quanto vitali. E nemmeno sottovalutando gli enormi costi di transizione per affrontare i quali comunque l’Unione europea ha stanziato ingenti risorse. L’indispensabile passaggio alle rinnovabili rivoluziona intere filiere produttive (si pensi solo all’auto), crea nuove imprese e ne chiude altre. Ha vincitori e vinti (questi ultimi non si sentiranno martiri di una buona causa). E, soprattutto, colpisce maggiormente i ceti più deboli.
La transizione è socialmente diseguale. Averne consapevolezza non significa alimentare scetticismo e distacco, né difendere acriticamente un sistema produttivo non più sostenibile. Tutt’altro. La lotta al riscaldamento climatico ha bisogno di trasparenza e realismo non di slanci utopistici e del conformismo delle buone intenzioni. Alcuni dati devono farci riflettere. In 15 anni nel mondo si sono già investiti nel solare e nell’eolico 3 mila 800 miliardi. Per arrivare a coprire una quota complessiva delle rinnovabili sul totale del 10 per cento. In Italia in 10 anni sono stati erogati sussidi per 130 miliardi, che famiglie e imprese pagano sulle bollette. Il nostro Paese è riuscito, negli ultimi trent’anni, ad abbattere del 19 per cento le emissioni nocive, ma per raggiungere l’obiettivo (Net zero emission) del Piano nazionale di ripresa e resilienza — che in Italia chissà perché diamo già per realizzato — dobbiamo aumentare di quattro o cinque volte la velocità di abbattimento e moltiplicare per dieci la potenza delle rinnovabili installate ogni anno. Ce la facciamo? Siamo indietro. Ovvio che, in queste condizioni, protestare perché un impianto deturpa il paesaggio sarà più difficile e contraddittorio rispetto al necessario spirito verde.
Pages: 1 2