Le promesse e la verità del colibrì

Mentre gli incontri milanesi si susseguivano, tra vertici e cortei, nel mercato dell’energia è accaduto qualcosa di assolutamente inedito e inatteso. Eventi al cui confronto le crisi petrolifere degli anni Settanta (qualcuno ricorderà le peraltro inutili domeniche a piedi) appaiono ridimensionate. Sono esplosi, come non era mai accaduto, i prezzi del gas. Il governo è intervenuto due volte in 3 mesi per complessivi 4,7 miliardi (in parte sottratti alle rinnovabili) per attenuare l’impatto sulle bollette dell’elettricità e del gas, comunque aumentate come mai era successo in precedenza. Ha di fatto sussidiato, non poteva fare altrimenti, i combustibili fossili. L’esatto contrario di quello che è stato chiesto a Milano a tutti i governi. Il paradosso è che il carbone, che vorremmo lodevolmente cancellare, è ai massimi delle quotazioni. La «verde» Germania ha impiegato nel primo semestre dell’anno il 40 per cento di carbone in più per produrre elettricità (che alimenta le sue nuove auto a zero emissioni). La Cina ha in progetto 18 centrali a carbone. Pechino è il più grande inquinatore al mondo, ma pro capite lo siamo di più noi europei. Senza l’accordo con i Paesi asiatici la sfida ambientale è persa in partenza. L’Unione europea è responsabile soltanto dell’8 per cento delle emissioni.

Il traguardo della neutralità nel 2050 non è solo ambizioso, è vitale. Senza nuove tecnologie non ce la faremo. Tra queste vi è anche il nucleare di nuova generazione, più sicuro. Ma guai a nominarlo. E non ci si potrà illudere di continuare a vivere «ad alta intensità energetica», senza dover cambiare le nostre abitudini. Un’auto elettrica non salva né il pianeta né la coscienza. Una maggiore educazione civica può fare invece molto, moltissimo. Nel ridurre gli sprechi alimentari, nel riciclare meglio i rifiuti, nell’adeguare gli edifici e regolare la mobilità, nel contenere la nostra impronta ecologica. Noi italiani siamo i primi in Europa per consumo pro capite di acqua (220 litri al giorno). Forse qualcosa in più la possiamo fare. Anche uscendo dall’equivoco che il digitale sia a impatto zero. Ogni mail ha un carbon foot print equivalente a 0,3 grammi di CO2. Va moltiplicata per miliardi. E così le foto che teniamo sui telefonini pensando che non abbiano alcuna conseguenza energetica. Qualcuno dirà: va be’ è come il colibrì che spegne l’incendio. Certo, ma fa la sua parte. E non è poco.

CORRIERE.IT

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