Tutti alle urne col cinghiale in corridoio Tutti alle urne col cinghiale in corridoio

MASSIMO GIANNINI

Solo la famigerata ma indimostrata “giustizia a orologeria” ha rianimato una campagna elettorale mediocre, a tratti deprimente. Prima l’indagine su Luca Morisi. Poi la condanna di Mimmo Lucano. Infine l’inchiesta sulle “macchie nere” di Fratelli d’Italia. Tre lampi improvvisi, che hanno squarciato il buio di una notte repubblicana dalla quale i partiti non riescono a uscire. Nel voto amministrativo che oggi porta alle urne quasi 12 milioni di italiani manca la politica. La politica come missione, passione e visione. Non ce n’è stata traccia, in quello che una volta si chiamava il teatrino e che ora pare uno zoo. Da una parte la Bestia salviniana, che patisce l’inevitabile contrappasso dopo aver “costruito” nemici inermi da sbranare con le sue zanne digitali. Dall’altra i Cinghiali metropolitani, che popolano fisicamente le vie degradate delle città, ma abitano metaforicamente i luoghi ammalorati della politica.

Se applicata a tutti i competitor che oggi concorrono nell’urna, la nota allegoria bersaniana va aggiornata. In corridoio non c’è più una mucca: c’è un cinghiale. C’è un cinghiale enorme nel corridoio della destra. E va al di là della tragicomica pochezza di certi suoi candidati sindaci. Per paradosso, lo ha “scoperto” Berlusconi, l’Unto del Signore che la destra italiana l’ha reinventata alla sua maniera, spacciando per “rivoluzione liberale” un’epifania neo-populista, autocratica e carismatica, della quale sono figli tutti i populismi successivi, il sovranismo fascio-leghista come il “vaffanculismo” grillista. Premesso che il popolo è sovrano e se alle prossime politiche voterà in massa Salvini e Meloni costoro saranno i legittimi capi del governo, il cinghiale in corridoio è questo.

Nell’Italia post-draghiana e nell’Europa post-merkeliana, con il Recovery Plan da realizzare e il Patto di stabilità da rinegoziare, Salvini e Meloni sono davvero in grado di guidare questo Paese? Sono “fit to lead Italy” due capi-partito imparentati con le destre più estreme dell’Unione e immortalati in foto a braccetto col “Barone Nero” Jonghi Lavarini, che a mo’ di pizzino manda a dire “ora nessuno faccia finta di non riconoscermi”? Può governare l’Italia, il leader arrabbiato di una Lega bifronte, sospesa tra Putin e Biden, Budapest e Bruxelles, il Papeete e il Palazzo, il citofono di Bologna e la Madonna di Fatima, il microfono di Del Debbio e il Forum di Cernobbio? Come il Re, il Capitano è nudo. Questo ha detto il Cavaliere, e prima di lui Giorgetti nell’intervista a Andrea Malaguti. Salvini è nudo di fronte alle sue atrocità. È stato lui ad armare Morisi, il cui “difetto” non è privato (drogarsi o “essere gay”, come berlusconeggia l’uomo di Arcore). È invece pubblico, perché riflette la grave responsabilità di chi lo ha cooptato nel direttivo di Via Bellerio e nello staff del Viminale, trasformandolo nel “braccio violento” della Lega sul web.

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