“Uno Statuto rivisto su lavoro antico (non protetto) e nuovo (non regolato)”

Come?

Quando ancora facevo il sindacalista di mestiere introducemmo una nuova forma organizzativa: Nidil, Nuove identità di lavoro. Lavoratori nuovi, impiegati in un’attività basata su una figura sola, senza un contratto, e che hanno bisogno di essere rappresentati e aiutati con i contratti collettivi dove è possibile. Serve consapevolezza del nuovo lavoro. Anche il dramma delle morti sul lavoro ha una radice che riguarda il cambiamento di alcuni lavori: sono mutati, ma senza un’adeguata percezione di cosa comportava quel modo nuovo di lavorare. 

Restiamo allo Statuto dei lavoratori. Secondo lei va modificato?

Ci sono molte questioni parallele che vanno intrecciate con lo Statuto. Siamo di fronte a un fenomeno che in Italia non aveva molto peso: i contratti pirata. Se si vogliono eliminare bisogna introdurre il salario minimo per legge. In questo modo il salario non diventa uno strumento per la competizione a ribasso tra le imprese. Insieme al salario minimo serve una legge sulla rappresentanza: devi sapere chi rappresenta e chi e come vengono validate le azioni di chi rappresenta. Un contratto di lavoro non deve essere erga omnes solo perché è così nella nostra storia.

Che modello propone?

Tutto ciò che riguarda le questioni del lavoro, dai salari ai diritti, deve essere approvato dagli interessati. Se hai una legge che stabilisce chi rappresenti, nella stessa legge devi prevedere anche l’obbligo alla validazione delle relazioni contrattuali. Tu sei libero di aderire o no a un’organizzazione, ma se quell’organizzazione fa un accordo, allora quell’accordo va sottoposto al giudizio di tutti e, una volta approvato, deve essere applicato. Questo aiuterebbe la riscrittura di alcune parti dello Statuto e il rafforzamento delle norme.

Abolizione dei contratti pirata, salario minimo, legge sulla rappresentanza. C’è il clima giusto nel Paese per intervenire in questo senso?

Il cambiamento della modalità organizzativa del lavoro è costante, c’è sempre. Da un lato la tecnologia nuova produce cambiamenti nel modo di operare, dall’altro le modifiche di carattere organizzativo sono uno degli elementi che danno vita ai modelli competitivi. Il cambiamento è necessario, ma nel contempo le condizioni materiali di chi lavora non devono essere peggiorate, ma migliorate. Tutto questo però non basta. Il cambiamento deve avere consenso.

Mi pare di capire che il Governo deve fare di più sul fronte delle relazioni con i sindacati. 

Il tema del confronto preventivo è fondamentale. Una volta la legge Finanziaria veniva presentata alle parti sociali luglio e ne discutevamo fino alla fine dell’estate. Poi andava in Parlamento: se c’era l’accordo ovviamente il risultato era positivo, altrimenti gestiva il tutto veniva gestito dal Parlamento stesso. 

Il Patto per l’Italia lanciato da Mario Draghi la convince?

Faccio un piccolo passo indietro.

Prego.

Nel ’92 nessuno pensava che saremmo entrati nel Trattato di Maastricht: le condizioni economiche del Paese erano molto preoccupanti. La svolta si ebbe per più ragioni, a iniziare dalla consapevolezza della politica della gravità della situazione, ma anche perché si introdussero politiche che erano frutto del meccanismo del confronto preventivo. Il confronto preventivo dà senso al conflitto: la cosa peggiore che ci può essere è il conflitto per errore perché non conosci, non sai qual è il carattere esatto del problema né quali sono le intenzioni del tuo interlocutore. Si può arrivare o non arrivare a un accordo, ma la conoscenza riduce il conflitto al limite fisiologico, evita la patologia del conflitto.

Fino ad ora Draghi ha aperto al confronto con i sindacati, ma sostanzialmente quando si è trattato di assumere decisioni importanti non è andato troppo per le lunghe. Cambierà metodo?

È ragionevole aspettarsi anche un cambiamento delle modalità operative da parte del Governo. Un conto è affrontare l’emergenza: in questo caso coloro che rappresenti ti riconoscono un’autonomia decisionale. Quando si supera l’emergenza e si entra in una modalità di normalità, come quella che auspichiamo tutti, quel metodo non funziona più perché è riduttivo delle procedure democratiche. 

In ballo ci sono anche i miliardi del Recovery. 

Ci saranno tanti soldi da spendere, l’economia mostra qualche segno di ripresa, ma già prima della pandemia scricchiolava molto e le ragioni di questo scricchiolare non sono risolte. Ci sarà bisogno di un luogo di confronto per gestire queste risorse: il Patto per l’Italia può essere la soluzione giusta, ma è importante che la discussione sul mercato del lavoro sia collocata lì dentro per rendere efficaci le cose che si faranno dal punto di vista della politica economica. 

Non c’è però solo Draghi. La sinistra dovrebbe rimproverarsi qualcosa per non essere riuscita a intercettare le dinamiche del nuovo lavoro?

La sinistra, non solo in Italia, ha sottovalutato molti aspetti del nuovo lavoro. All’inizio degli anni Duemila ha commesso il grave errore di scegliere Blair in alternativa a Delors: ha preferito, sbagliando, la terza via, che è un’imitazione un po’ ridicola del liberismo. Invece il Libro bianco di Delors dà un’idea molto bella ed efficace. Delors diceva che la competizione, nella globalizzazione, non si deve fare contenendo i costi, agendo negativamente il più delle volte sul carattere del lavoro, ma innovando, mettendo in premessa la conoscenza, ch è la chiave di volta di tutto. I settori dove la conoscenza è stata coltivata e premiata hanno fatto grandi passi in avanti. Il competere con i più deboli, togliendoli diritti e protezioni, si è rivelato un disastro.

Da dove dovrebbe ripartire la sinistra?

Sarebbe importante che la sinistra europea – le cose o si fanno insieme in Europa o non si fanno – rilanciasse un’idea di economia e di società di un padre nobile come Delors. 

L’HUFFPOST

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