L’antipolitica a fine corsa
Marcello Sorgi
Magari è presto per dirlo, ma dalle urne del 3-4 ottobre, a ben guardare, escono battuti l’antipolitica e il populismo movimentista che avevano spopolato nel 2016 e 2018. La vittoria del centrosinistra, con o senza i 5 stelle, e la conseguente sconfitta del centrodestra al primo turno delle amministrative aprono una fase nuova, dagli effetti ancora tutti da valutare. Perché le dimensioni dell’una e dell’altra saranno chiare solo dopo il risultato definitivo di Roma, che da sola vale metà della tornata elettorale, e il consolidamento (o il capovolgimento) nei ballottaggi delle tendenze manifestatesi. Oltre all’incognita della bassissima affluenza ai seggi, da cui emerge un fortissimo sentimento di sfiducia degli elettori, che quasi certamente non riuscirà a migliorare.
E tuttavia, dopo un periodo che l’aveva vista trionfatrice in tutte o quasi le consultazioni locali, e dopo il brusco alt dell’anno scorso in Emilia-Romagna e in Toscana, la coalizione, privata della guida di Berlusconi, e affidata alla competizione tra Salvini e Meloni – tranne che in Calabria, dove presidente sarà il moderato Occhiuto, espresso dal Cavaliere -, prende botte dappertutto. A cominciare, appunto dalla Capitale, dove il risultato di Michetti, di poco avanti a Gualtieri, è inferiore alle aspettative e ai dati degli ultimi sondaggi. Mentre l’affermazione di Calenda, superiore alle attese e tale da rendere più cocente il tramonto della Raggi, solo in parte potrà fornire un pronto soccorso al candidato esperto di antica storia romana ma con meno familiarità con il presente.
L’elezione al primo turno di Sala, riconfermato sindaco a Milano, di Lepore a Bologna e di Manfredi a Napoli dimostrano che il Pd era in grado di farcela senza l’alleanza con i 5 stelle, com’è appunto avvenuto nella seconda Capitale italiana, e meglio ancora insieme al Movimento, vedi il secondo e il terzo caso. Ma le percentuali delle candidate pentastellate Pavone e Sganga, sconfitte a Milano e a Torino, oltre a quella della Raggi – una frazione del consenso oceanico che la portò alla vittoria cinque anni fa assieme all’Appendino – sono tali da sottolineare la malinconica uscita di scena delle due sindache, e da suggerire ai grillini di supportare la linea Conte: meglio l’alleanza giallorossa che il declino in solitudine.
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