L’antipolitica a fine corsa
Per quanto il Pd non goda certo di ottima salute e il suo successo sia legato a una sapiente strategia di alleanze con liste civiche e locali, dal voto emerge così il vento contrario all’antipolitica, all’instabilità, e soprattutto all’incompetenza. Merito di Draghi – che da tecnico ha dimostrato qualità da premier e insieme da leader politico, accrescendo in questo modo le sue chance per il Quirinale -, dei risultati del suo governo, ma anche di chi ha scelto di sostenerlo senza se e senza ma, come appunto il partito di Letta, premiato anche personalmente come vincitore nel collegio di Siena e di nuovo deputato. Mentre esce bocciata la linea un piede dentro e uno fuori dalla maggioranza, impersonata da Salvini, a costo di forti resistenze interne alla Lega, per reggere la concorrenza della Meloni, sola o quasi all’opposizione.
Nei commenti a caldo, man mano che le cifre si allineavano sulle tabelle, qualcuno ha voluto vedere nei risultati di ieri anche un premio a tutte le posizioni più moderate, anche a quelle del più illustre tra gli sconfitti, Calenda. È vero. Ma da qui a immaginare un rassemblement centrista, in vista dell’elezione del presidente della Repubblica, ne corre. Sebbene sia molto probabile che lo stesso Calenda, a Roma, per discutere di un eventuale (ma molto eventuale, quasi impossibile) appoggio a Gualtieri al secondo turno del 17 ottobre, ponga l’alternativa: o con me o con i 5 stelle.
Questo tipo di trattative, però, avevano più significato quando ancora esistevano i partiti e i loro insediamenti locali erano solidi. Si ha un bel dire che la vittoria delle sindache grilline nel 2016 fu determinata dalla giravolta al secondo turno del centrodestra in favore dei 5 stelle. La verità è che allora le spinte verso il cambiamento erano molto forti e provenivano da tutte le parti. E le due candidate semisconosciute trionfarono perché seppero tendere le vele sfruttando le raffiche che spiravano a loro favore, salvo poi dimostrarsi inadeguate ad amministrare. Mai come nelle elezioni dei sindaci, infatti, il valore di una vittoria si misura sulla capacità degli eletti. Da oggi, dunque, comincia un’altra storia. L’unica certezza è che governare le grandi città è diventato ancora più difficile. —
LA STAMPA
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