Il Pd vince e può non avere il terrore delle politiche
È un problema più grande di Salvini o Grillo o del Pd che, per quegli strani paradossi della storia, vince anche grazie al fatto che il popolo dell’Italia profonda non vota ed è trainato dal consenso della media borghesia. E riguarda lo stato di salute della democrazia ai tempi del Covid, che ha coinciso, in questo paese, col default della politica incapace, nel momento più drammatico, di dare una soluzione alla crisi. Ed è arrivato Draghi. Si è cioè “infettata” anche la democrazia, oltre alla salute e i canali tradizionali di rappresentanza non vengono percepiti come dei vaccini utili. E dunque il Pd vince in un “campo stretto”, mentre sarà ragionevole pensare che le politiche saranno un campo molto più largo.
Di questa consapevolezza sono impregnate le parole del segretario del Pd Enrico Letta, che infatti, pur comprensibilmente soddisfatto, non ha ceduto al facile trionfalismo. Nel suo riconoscimento che la crisi del centrodestra è anche l’assenza di un federatore alla Berlusconi e nel proporre una nuova agenda, più tarata sui diritti sociali che su quelli civili, non c’è solo il proporsi come federatore di una coalizione, ruolo cui può legittimamente aspirare, dopo i risultati odierni. Ma il senso di un legame da ricostruire, sociale e politico, che è qualcosa di più della semplice somma con i Cinque stelle, al netto del consolatorio “uniti si vince, divisi si perde”, perché certo c’è Napoli, ma l’estinzione a Torino e il risultato a Roma della Raggi, meno indecorosa rispetto alle previsioni e più problematica rispetto alle alleanze. È un problema strategico tutto ancora da risolvere, su cui i ballottaggi daranno indicazioni, perché non è affatto scontato che convergano automaticamente sul centrosinistra, seguendo le indicazioni di Conte.
L’HUFFPOST
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