La rapina di Casavatore: i fucili puntati contro i bimbi in pizzeria sono l’abisso

di Marco Demarco

Una pizza con i genitori a «Un posto al sole». Ma poi eccoli precipitare tutti, e più di tutti i bambini, in una livida atmosfera da «Gomorra-La serie», in un abisso di paura, minacciati da fucili spianati in faccia. Noi guardiamo le immagini della rapina di Casavatore, protetti dall’incredulità, storditi dall’assenza del sonoro, scossi dall’improvviso apparire di qualcosa che sì, è proprio un fucile, mentre quello più in là è davvero un kalashnikov. Noi abbiamo anche avuto tutto il tempo di razionalizzare, di indignarci, di chiederci come siano possibili cose del genere.

Ma i bambini? Loro che erano nella realtà e non nell’immaterialità della videoregistrazione, che hanno visto il fucile finire sulla faccia del padre e hanno incrociato gli occhi terrorizzati della madre, riusciranno mai a dimenticare gli attimi che hanno vissuto? Doveva essere una felice serata passata in compagnia, in una pizzeria che porta il nome di una fiction famosa, un nome che evoca la Napoli bella di Posillipo e di Marechiaro. Si è trasformata invece nel suo opposto, in un precipitare improvviso nella città brutta, quella delle bande di camorra, delle «stese», cioè delle sparatorie nelle piazze e nei vicoli. O delle rapine a mano armata.

Come questa. Casavatore è un paesone grigio della parte più grigia dell’area metropolitana di Napoli. È al confine col quartiere di Secondigliano, a due passi dalla location preferita dal cinema e dalle tv per le storie criminali. Qui sabato hanno fatto irruzione in due, col volto coperto da mascherine anti-Covid, e hanno cambiato in pochi secondi la vita degli altri. Quello col mitra rimane sulla porta, defilato, a controllare da lontano. E a vedere il video quasi si ha l’impressione che nessuno se lo fili. Né i camerieri, che continuano ad attraversare la sala con le pizze in mano, né i clienti.

L’altro, invece, occupa di forza la scena. Dovendo scegliere dove colpire, non esita un momento: sceglie di proposito il tavolo con i bambini. Nelle immagini si vede una mamma che prova a proteggere il figlio stringendolo a sé. Un padre si proietta invece su un altro bambino per coprirgli gli occhi con le mani. E poi anche le orecchie, alternativamente. Solo così riusciamo a intuire fino a che punto le minacce che noi non sentiamo, in quella sala invece rimbombano. Non c’è perciò bisogno di scomodare Zygmunt Bauman per capire quale sarà la peggiore conseguenza di questi momenti.

Per questi bambini sarà assai difficile ricostruire la fiducia in qualcosa e in qualcuno, avendo verificato di persona che il male ti può trovare ovunque, anche se sei c on i tuoi genitori. Per altri versi, invece, noi che guardiamo a distanza rimaniamo spiazzati da un’altra presenza. In una diversa inquadratura si vede un uomo con una chitarra in mano, un «posteggiatore», uno di quelli che cantano con un filo di voce «Era di Maggio» o «Indifferentemente». È immobile. Impietrito. Il contrasto tra il fucile e la chitarra è da sceneggiatura, più che da cronaca vera.

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