La destra, le nostalgie di troppo e l’assenza di chiarezza

di Marco Imarisio

Gli assalti dei no vax alla sede della Cgil e al pronto soccorso del Policlinico di Roma sono fatti gravi che meriterebbero la risposta di una classe politica matura

Gli assalti dei no vax alla sede della Cgil e al pronto soccorso del Policlinico di Roma sono fatti così gravi che meriterebbero almeno la risposta chiara di una classe politica matura. Quella che si è sentita finora, non lo è. È vero che non esiste l’esclusiva degli scontri di piazza, è vero che molti dei confronti violenti degli ultimi anni vanno ascritti a un radicalismo di estrema sinistra, presente anche nei movimenti che si oppongono alla vaccinazione e al green pass. Ma quel che è andato in scena sabato pomeriggio aveva una connotazione politica ben precisa, e innegabile, un rigurgito di fascismo dal quale i primi ad avere interesse a prendere le distanze in modo netto dovrebbero essere Giorgia Meloni e Matteo Salvini, due leader che aspirano a governare l’Italia. Anche perché è proprio questa assenza di chiarezza che autorizza la concorrenza a evocare i fantasmi di un passato tragico, a marciare, è il caso di dirlo, sopra l’accaduto per mettere in difficoltà l’avversario.

Quel che sembra mancare nelle parole di alcuni esponenti del centrodestra è la cognizione del rischio che può derivare dalla sovrapposizione della propria agenda con quella delle frange più violente e nostalgiche. Se l’intenzione è di non contrariare il bacino elettorale no vax, proprio gli scontri di Roma, e la bufera non solo politica che si è scatenata subito dopo, dimostrano che il gioco, seppur legittimo in democrazia e per questo anche criticabile, non vale la candela. Perché l’ostinazione a non chiamare le cose con il loro nome rende strumentale e poco credibile ogni altra osservazione. Nel momento in cui vengono malmenate le forze dell’ordine da parte di un manipolo di personaggi con una storia politica ben riconoscibile, se non si prendono le distanze in modo netto da quella identità, anche gli attacchi al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese perdono legittimità e risultano strumentali, dando l’impressione che si guardi il dito e non la luna.

Può sembrare ingiusto, chiedere patenti di democrazia a leader di partiti che sono lontani anni luce da pratiche violente. E sarebbe poco onesto non riconoscere a Meloni di aver mandato un segnale nei giorni scorsi, quando l’oggetto del contendere era l’inchiesta di Fanpage sulle frequentazioni di estremissima destra da parte di alcuni membri del suo partito. «Nel Dna di Fratelli d’Italia non c’è posto per nostalgie fasciste», aveva detto alla nostra Paola Di Caro. Proprio quelle nostalgie, quei germi di fascismo, sono ancora ben presenti nella nostra società. E non vanno sottovalutati. Ma neppure si può ignorare il richiamo esercitato dalla presenza nelle proprie liste di candidati locali in bilico tra folclore e apologia di reato, nonché della fiamma tricolore all’interno del simbolo, come nel caso di Fdi.

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