I dpcm sul green pass nei luoghi di lavoro: Qr code, controlli, multe e rischio licenziamento. Tutte le regole

Il green pass è obbligatorio per accedere al proprio posto di lavoro. E il lavoro da remoto non è un’alternativa per chi non lo ha. Nel testo del dpcm sul rientro in ufficio viene infatti specificato: «Non è consentito in alcun modo, in quanto elusivo del predetto obbligo, individuare i lavoratori da adibire al lavoro agile sulla base del mancato possesso di tale certificazione».

Questo perché, «il possesso della certificazione verde e la sua esibizione sono condizioni che devono essere soddisfatte al momento dell’accesso al luogo di lavoro» e, viene sottolineato: «Non sono consentite deroghe a tale obbligo». Non si ha quindi alcun diritto di usufruire dello smart working se non si è in possesso del certificato verde.

Ma nel caso in cui, per motivi organizzativi interni all’azienda o all’amministrazione pubblica, al lavoratore venisse chiesto di svolgere la propria attività lavorativa da remoto (indipendentemente dal possesso o meno del certificato), non gli potrà essere richiesto il green pass, né tanto meno il documento potrà essere verificato a distanza con le app o le piattaforme digitali presto a disposizione e i suoi dati non potranno essere né conservati né usati.

Il lavoratore che si presenta senza green pass, o comunica in anticipo di non averlo, non potrà accedere al posto di lavoro. Resterà a casa senza stipendio. Questo non comporterà però nessuna sanzione disciplinare. Non si tratta di un dettaglio: alcuni contratti nazionali di lavoro prevedono che, in caso di provvedimenti disciplinari ripetuti in un certo arco di tempo, si possa arrivare al licenziamento. Il lavoratore assente ingiustificato conserverà il posto di lavoro e rientrerà alla termine dello stato di emergenza, quindi dal primo gennaio. A meno, ovviamente, che lo stato di emergenza non sia prorogato.

Secondo una circolare di Confindustria, se la mancanza del lavoratore causa danni all’azienda, l’azienda stessa può cercare di rivalersi sul suo dipendente. È il caso per esempio del trasfertista chiamato a mondare un impianto entro una certa data che si fa trovare senza green pass il giorno della partenza. Del lavoratore addetto a mansioni che hanno a che fare con la tutela della sicurezza di tutti i dipendenti. O, ancora, dei lavoratori con specializzazioni/licenze indispensabili all’attività o assunti in edilizia per uno specifico appalto.

Il decreto 127 del 21 settembre scorso aveva già disposto che i controlli sui green pass potessero essere fatti a campione. Oggi le linee guida sulla pubblica amministrazione danno un elemento di informazione in più: i controlli devono riguardare almeno il 20% della popolazione aziendale.

Inoltre i controlli a campione vanno fatti a rotazione, coinvolgendo di conseguenza nell’arco dei cinque giorni all’interno della settimana lavorativa tutta la popolazione aziendale. Il decreto della presidenza del Consiglio su indicazione dei ministri della Salute e della Pubblica amministrazione suggerisce poi che i controlli a campione siano fatti «prioritariamente» durante la mattinata, quindi poco dopo l’ingresso in fabbrica o in ufficio.

La ratio della misura è facile da intuire: fare in modo che un eventuale dipendente infetto resti il meno possibile a contatto con i colleghi e si riduca così il rischi di focolai. Alcune grandi aziende si stanno attrezzando per consentire ingressi automatici ai tornelli con lettori abilitati a rilevare i pass e poi controlli a campione all’interno per verificare che il pass utilizzato sia davvero del dipendente.

Sono soggetti all’obbligo di green pass anche «i dipendenti delle imprese che hanno in appalto i servizi di pulizia o ristorazione, il personale delle imprese di manutenzione che, anche saltuariamente, accede alle infrastrutture, gli addetti alla manutenzione e al rifornimento dei distributori automatici di caffè e merendine, quelli chiamati anche occasionalmente per attività straordinarie, i consulenti, i collaboratori, nonché chi frequenta corsi di formazione, i corrieri che recapitano posta, destinata ai dipendenti che dovessero riceverla in ufficio (anche i corrieri privati dovranno essere provvisti di green pass se accedono alla struttura)».

Questo ha dettagliato il decreto della presidenza del Consiglio emanato ieri. Devono avere il green pass anche i lavoratori «somministrati»: coloro che sono distaccati all’interno di un’impresa da un’agenzia privata per il lavoro. In questo caso l’Agi, l’associazione giuslavoristi italiani, sollecita una semplificazione delle procedure, visto che oggi questi lavoratori sono soggetti a un doppio controllo del green pass: da parte dell’agenzia che li ha assunti ma anche nell’azienda in cui lavorano.

Un conto è dichiararsi senza green pass, un altro è «barare» e entrare in azienda o nell’amministrazione pubblica senza il certificato aggirando i controlli. In questo secondo caso, oltre a rimanere a casa in assenza ingiustificata senza stipendio, si deve pagare una sanzione amministrativa che va dal 600 ai 1.500 euro. Oltre a questo vanno messe in conto sanzioni disciplinari.

Tra gli esperti di diritto del lavoro non si esclude che nei casi più gravi si possa arrivare anche al licenziamento. Le linee guida della presidenza del Consiglio dei ministri sulla pubblica amministrazione chiariscono in aggiunta che «non è esclusa la responsabilità penale per i casi di alterazione o falsificazione della certificazione verde Covid-19 o di utilizzo della certificazione altrui».

Per finire, il datore di lavoro è tenuto a segnalare al prefetto il lavoratore entrato in azienda senza il certificato verde. Un obbligo aggiuntivo che però non piace alle associazioni delle imprese. «Non siamo addetti di pubblica sicurezza», lamentano infatti molti imprenditori. In generale, la disponibilità della certificazione verde non può essere oggetto di autocertificazione da parte dei dipendenti e fornitori.


Il dpcm (decreto del presidente del Consiglio dei ministri) approvato ieri contiene le linee guida preparate dai ministri della Pa e della Salute, Renato Brunetta e Roberto Speranza, per il rientro in ufficio dei dipendenti della Pubblica amministrazione. Dal 15 ottobre quindi potranno riaprire completamente gli uffici delle 32 mila amministrazioni pubbliche.

«Si completa la cornice — dice Brunetta— per garantire il ritorno alla piena operatività, a partire dagli sportelli e dal back office». In attesa della regolazione del lavoro agile nell’ambito della discussione in corso sul Contratto nazionale di categoria, e fino al 31 dicembre 2021 ogni amministrazione può ancora però far lavorare da remoto i propri dipendenti per alcuni giorni della settimana e a rotazione.

L’importante è che vengano garantiti i servizi agli utenti, un’adeguata rotazione di turni e un’adeguata dotazione tecnologica e la riservatezza dei dati trattati in lavoro da remoto. Il dpcm prevede inoltre la mobilità tra uffici e aree diverse e«ogni misura di riorganizzazione interna» in caso di mancanza di personale perché senza green pass. Previste anche, in via d’urgenza, convenzioni e tra enti.

Le aziende che operano nella logistica dei porti paghino i tamponi ai dipendenti non vaccinati. Questa la raccomandazione contenuta in una circolare del ministero dell’Interno. Ma i porti non sono l’unico contesto lavorativo a rischio disagi con l’entrata in vigore venerdì prossimo del green pass obbligatorio.

Tutta la filiera della logistica è sotto pressione. Perché molti autotrasportatori sono stranieri e tra questi diversi o non sono vaccinati o sono vaccinati con sieri non riconosciuti in Italia. Ma non è solo questo. Nell’autotrasporto può bastare una sola persona a bloccare la consegna di un carico. «Fra due giorni si rischia il caos, con un’incognita enorme nei rifornimenti e sul funzionamento regolare dei trasporti e della logistica», avverte Paolo Uggè, presidente di Conftrasporto-Confcommercio.

«Siamo per i vaccini, convinti che siano una misura di sicurezza indispensabile. Ma nell’autotrasporto il 30% degli operatori non è vaccinato. Sono in gran parte lavoratori stranieri, ma ci sono anche diversi italiani». Filt, Fit e Uiltrasporti, le categorie dei trasporti di Cgil, Cisl e Uil, ieri hanno chiesto al governo che la «raccomandazione» alle aziende a pagare i tamponi ai dipendenti senza pass sia estesa a tutta la filiera di trasporti e della logistica. Da monitorare anche la situazione del trasporto pubblico locale.


A taccuini chiusi le associazioni delle imprese confessano i loro timori: soprattutto tra i piccoli, con i cassetti pieni ordini e in difficoltà per la presenza in azienda di una quota di dipendenti senza il certificato, qualcuno potrebbe omettere le verifiche. Ma il decreto legge 127 del 21 settembre affida proprio al titolare dell’impresa la responsabilità del controllo del green pass: chi lo omette rischia una sanzione amministrativa dai 400 ai 1.000 euro. In caso di violazione reiterata, la sanzione amministrativa è raddoppiata.

La stessa multa è comminata al datore di lavoro che non predispone le misure organizzative necessarie. Per cominciare, l’imprenditore deve incaricare un responsabile dei controlli. Quando si trova nelle condizioni di rinunciare a un dipendente senza pass, può attivare un sistema di sostituzione interno. Soltanto le piccole aziende con meno di 15 dipendenti possono sostituire il lavoratore per un periodo di dieci giorni prolungabile con altri dieci. Le associazioni delle piccole imprese dell’artigianato e del commercio lamentano la difficoltà, anche volendo, di sostituire i lavoratori assenti a causa delle mancanza di personale specializzato. Contestano inoltre l’aggravio contributivo che comporta l’utilizzo del contratto a termine (più oneroso rispetto al contratto a tempo indeterminato).

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