Il rebus Quirinale di Salvini e Meloni

di Stefano Folli

C’è chi insinua, con qualche malizia, che l’eco della campagna antifascista seguita alle violenze di sabato scorso a Roma (contro la sede della Cgil, l’area di Palazzo Chigi e il pronto soccorso del policlinico Umberto I) durerà fino ai ballottaggi di domenica. Sottinteso: si spegnerà dopo la vittoria quasi certa dei candidati del Pd, a cominciare da Gualtieri opposto all’improbabile Michetti. Ma non andrà così. L’onda lunga arriverà in un modo o nell’altro fino all’elezione del presidente della Repubblica in gennaio. Come dire che gli esiti saranno forse destinati a modificare l’assetto politico che abbiamo conosciuto nell’ultimo anno.


In primo luogo è in gioco il futuro di Fratelli d’Italia, il partito di opposizione oggi accreditato del 20 per cento nazionale: una delle tre maggiori forze, insieme a Pd e Lega. La marcia lenta e sorridente di Giorgia Meloni nelle istituzioni è giunta a uno snodo cruciale. Lei può recidere in forme convincenti – ossia non solo in un’intervista – i legami con l’estremismo destrorso, senza per questo accettare il “terreno di gioco” proposto dalla sinistra, vale a dire conservando il proprio giudizio storico sul Novecento e tuttavia accettando tutti i valori della Costituzione repubblicana. Oppure può accentuare il profilo di forza alternativa di destra, in Europa come in Italia, e in tal caso dovrà adattarsi a gestire il suo peso elettorale da un’opposizione eterna, a meno di sconvolgimenti imprevedibili nell’Unione. Il fatto che FdI, come il resto del centrodestra, firmi una mozione parlamentare separata da quella del centrosinistra era probabilmente inevitabile, ma dimostra che sul caso Forza Nuova le ferite resteranno aperte. Certo Giorgia Meloni sarà chiamata a compiere altri passi: ad esempio togliendo la fiamma ex-missina dal simbolo.


In ogni caso, di qui a gennaio dobbiamo attenderci una campagna martellante contro le ambiguità di Fratelli d’Italia e della Lega. I primi sono fuori dalla maggioranza, la seconda è dentro, ma il Pd giocherà tutte le carte per tenere Salvini ai margini delle scelte importanti, se possibile spingendolo nella zona grigia di una semi-opposizione. L’obiettivo è chiaro e riguarda le modalità attraverso cui sarà eletto il nuovo capo dello Stato. Poiché nessuno dei due schieramenti dispone dei voti sufficienti a imporre un proprio candidato, restano in pratica due ipotesi. La prima è un accordo trasversale sulla base della maggioranza che sostiene Draghi, magari con una posizione non intransigente di FdI. In tal caso lo sbocco più a portata di mano sarebbe un secondo mandato a Mattarella, soluzione finora non gradita all’interessato. Di sicuro un’intesa ampia, la più adatta a garantire Draghi a Palazzo Chigi, richiede un clima politico che al momento non esiste. Anzi, gli scontri e le tensioni in atto tendono a lacerare i rapporti parlamentari.

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