Quella parola sbagliata: pacificazione

di MICHELE BRAMBILLA

Per scongiurare il caos provocato dalla rivolta dei lavoratori No Green pass, da più parti si invoca una “pacificazione“ nazionale. E il solo fatto che si usi questo termine, “pacificazione“, la dice lunga su quanto abbiamo smarrito il senso, il significato delle parole che pronunciamo. L’esigenza di una pacificazione nazionale si pone infatti dopo guerre civili, o comunque dopo forti contrapposizioni ideologiche ma direi anche ideali: e sono processi comunque lenti e difficili. Qualche esempio. Alla fine della guerra civile spagnola, Francisco Franco fece costruire un enorme monumento poco fuori Madrid, la Valle de los Caidos, per onorare la memoria di tutti i caduti, nazionalisti e repubblicani.

Ma Franco non era esattamente la persona giusta per pacificare un Paese profondamente diviso e ferito (lo è tuttora, su quella guerra civile) e la Valle de los Caidos si trasformò di fatto in un altare che rendesse imperitura la memoria della sua vittoria.

Anche l’Italia visse una guerra civile (ma si discute molto se questa definizione sia corretta, ricordando lo scontro fra fascisti e partigiani) e quando Luciano Violante, nel suo discorso di insediamento come presidente della Camera nel 1996, disse che bisognava capire perché molti italiani scelsero la Repubblica Sociale, fu sommerso dalle critiche. Di un bisogno di “pacificazione“ nazionale parlò anche Francesco Cossiga riguardo agli anni di piombo: e gli fu detto che non si possono mettere sullo stesso piano i terroristi e uno Stato democratico. Insomma la pacificazione non è facile: ma, in ogni caso, è una cosa seria.

Non si capisce invece che cosa dovrebbe esserci di serio in una “pacificazione“ quale quella che viene ora invocata. C’è stata una guerra civile? No. C’è stato terrorismo? No. C’è una battaglia fra democrazia e dittatura? No. Qui c’è stata una pandemia, c’è stata una medicina che ha fornito in un tempo record un vaccino del quale è ormai difficile mettere in dubbio l’efficacia, c’è stato un governo che ha fissato delle regole per tornare a lavorare e a vivere in sicurezza. Certo si può dire che l’Italia ha fissato regole più severe di altri Paesi, forse nell’illusione che tutti si sarebbero fatti vaccinare. Ma basta leggere i cartelli innalzati durante le manifestazioni di questi giorni per capire quali motivazioni ci siano dietro il “no“ al Green pass: “Basta terrorismo di Stato”, “Le cure esistono le avete sepolte” (Le avete chi? Riecco la teoria del complotto).

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