Caso Luciana Lamorgese, così il ministro ha sbagliato tutto: Draghi ha un problema Interno
Pochi uomini, ma non sarebbero serviti molti di più di uno dei reparti della Celere e quella sede non sarebbe mai stata sfondata. Ma istruzioni e autorizzazioni a spiegare quanto avvenuto non sono arrivate per molte ore. Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, era impegnata a Lecce e per lungo tempo irreperibile e muta anche dopo essere stata avvisata dell’accaduto. E’ una situazione in cui gli uomini che debbono garantire la sicurezza degli italiani si sono trovati più volte in questi mesi.
Una evidente lontananza dalla personalità politica che dovrebbe guidarli e questo non fa. Un ministro che cerca di tenersi lontana dai guai, che quando capitano tende a scaricarne la responsabilità sui livelli inferiori della catena, che negli incontri con i vertici della sicurezza in questi mesi la sola cosa rimarcata più volte in quegli incontri (quasi a mostrarsi autorevole per questo) era la protezione assicuratele dal Quirinale, non garantisce quel comando di cui nel settore c’è primario bisogno. I nostri uomini della sicurezza hanno necessità di una guida politica, di cui per storia e abitudine non discutono mai l’orientamento. Ma non ce l’hanno, e vivono nella incertezza di un comando politico-operativo del tutto assente.
E’ un problema enorme, il vero caso Lamorgese. Il ministro cerca sempre disperatamente la sponda del capo del governo, Mario Draghi, che però non la offre se non per il minimo dovuto: sui temi della sicurezza l’esperta deve essere lei, lei rispondere di quel che avviene e trovare la soluzione ai problemi. Magari non combinando i pasticci creati proprio sul green pass che non è materia sua, con la circolare inviata sui tamponi gratuiti ai portuali di Trieste.
I vertici della sicurezza sono preoccupati per un autunno caldo dove i problemi di ordine pubblico avverranno sotto copertura di quello slogan, “Dittatura sanitaria”, che unirà eversione nera ed eversione rossa alla rabbia di sempre più gente comune. Ha impressionato molto avere visto dalle immagini delle telecamere di sicurezza di sabato scorso una signora distintissima, di quelle che penseresti a fare shopping in via Condotti, entrare invece in un cantiere in piazza San Lorenzo in Lucina proprio davanti alla caserma dei carabinieri, per raccogliere in un secchio decine di sanpietrini da lanciare poi addosso ai poliziotti. Ha impressionato gli stessi agenti il trovarsi di fronte a donne e uomini così che inveivano con rabbia nei loro confronti roteando pugni e urlando cose indicibili. Non era mai capitato prima d’ora. Ma è capitato sabato scorso, ed erano davvero tanti, tantissimi, quanti la politica tradizionale da anni non vede in piazza. Talmente esasperati da avere accettato per la prima volta di fare guidare la manifestazione a Forza Nuova (mai accaduto prima, erano sempre stati isolati e respinti dal grosso della piazza).
Ieri non è accaduto nulla e lo slogan partito mentre gli avvenimenti erano ancora in corso è il classico “è andato tutto bene”. Ricordo però che lo stesso slogan fu pronunciato il giorno della minaccia del blocco dei treni, quando nelle stazioni c’erano più giornalisti che no pass. Grandi sfottò a chi aveva annunciato proteste poi rivelatesi flop. Gridati dagli stessi che urlano oggi alla sottovalutazione della tragedia che si è sfiorata sabato scorso. Bisogna guardare negli occhi la realtà: quel malumore e quel dissenso sarà pure di una minoranza, ma non sarà fatto minore. Quando si penserà di averlo messo alle spalle con un po’ di retorica su fascisti e antifascisti, risbucherà imprevisto come ha già fatto. Per affrontarlo servirà un’autorità politica, un comando deciso agli Interni. Draghi lo sa: oggi non c’è. Bisogna porvi riparo prima che sia troppo tardi.
IL TEMPO
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