Green Pass Day: nessun trionfalismo, nessuna catastrofe
E cioè che, per l’operaio come per l’imprenditore, come per il dipendente pubblico, la libertà è, innanzitutto, emancipazione. Le catene che lo imprigionano non sono quelle di un pezzo di carta da mostrare ma di un salario da difendere o da migliorare. E questo accade proprio nel momento in cui, proprio l’emergenza sanitaria, mette tutti di fronte a una estrema vulnerabilità. Non è finito né il disagio né il risentimento delle categorie né le spinte corporative legate al tema più generale di come il Covid il mondo del lavoro cambi morfologia e organizzazione, ma comunque la spinta solidaristica è stata più forte della rivolta alle regole di precauzione.
La lezione di questo venerdì – che nero non è stato – è che non c’è un paese da pacificare, come se fosse in una guerra civile tra “sì vax” e “no vax”, “sì Green Pass” e “no “Green Pass”. C’è un paese da governare e da ricostruire, in cui la pacificazione non è con la classe dirigente del “tanto peggio, tanto meglio”, ma nelle cose, e nei risultati per come condizionano un processo di ripresa ancora molto lungo. Senza enfasi per lo scampato pericolo, senza sottovalutazione dei segnali di disagio che arrivano dalle proteste, sia pur contenute di oggi, come dalle piazze rumorose di ieri, come dal preoccupante astensionismo nelle urne, perché l’accettazione di una regola fondamentale non risolve in sé la questione sociale, né è la precondizione. Con la tranquilla fermezza che ha consentito le riaperture, il ritorno in presenza dei lavoratori del privato e dei trentaduemila mondi delle PA senza un solo intoppo (a proposito, una lode a Brunetta), un rimbalzo del Pil superiore alle aspettative, una campagna vaccinale come precondizione di tutto ciò. È lo spirito con cui il presidente del Consiglio è passato già al prossimo dossier, con la tranquilla fermezza di chi ha preso e difeso le giuste decisioni, forse perché distante dal rumore dei ballottaggi e dalle pressioni di alcune constituency, soprattutto da quelle più scomposte, che invece qualcuno ha sciaguratamente cavalcato. Fortunatamente senza esiti brillanti.
L’HUFFPOST
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