Landini come Scholz? Perché la tentazione di un sindacato protagonista in politica è fuori dal tempo
Da Scholz a Landini è un attimo. Nella affannosa ricerca di una idea di sinistra, possibilmente vincente, e di una leadership che la simboleggi, c’è chi incita oggi il sindacato a un nuovo protagonismo politico. L’illusione è che la Cgil possa fare da surrogato di quel grande partito del lavoro stile Spd che l’Italia non ha. Per questo la manifestazione di sabato, forte risposta al gravissimo attacco squadrista alla sede della Cgil, ha risvegliato a sinistra una nostalgia degli anni ‘70, apertamente evocata da Pierluigi Bersani in una cronaca del Corriere: «Allora era il sindacato che toglieva tutti dall’imbarazzo delle bandiere. E infatti, in alcune manifestazioni, c’era sempre una certa destra liberale e costituzionale». L’operazione di riunificare sotto le bandiere rosse del movimento operaio l’intero arco costituzionale presenta però un che di anacronistico. E non solo perché negli anni ‘70 non c’era il centrodestra, c’era la Dc. Ma anche perché oggi è proprio il mestiere principale del sindacato, e cioè la rappresentanza dei lavoratori, che mostra evidenti segni di crisi, di fronte al cambiamento radicale del mondo della produzione e dei servizi. Sarebbe curioso che mentre sono alle prese con la difficoltà di «afferrare» le nuove figure lavorative che l’economia digitale sta creando, le nuove forme di schiavitù che troppo spesso genera, e le nuove povertà sepolte nelle file alla Caritas, il sindacato si mettesse in testa di presentarsi come soggetto politico.
I favolosi anni ‘70
Eppure la nostalgia degli anni ‘70 a questo allude. In quel frangente, soprattutto la Cgil di Lama, ma anche la Cisl di Carniti e la Uil di Benvenuto, furono decisive nel proteggere le istituzioni democratiche dall’assalto del terrorismo rosso, che nelle grandi fabbriche del Nord tentò di entrare in competizione diretta col sindacato per conquistare il consenso della frange più estremiste. E però, allo stesso tempo, in quel decennio la crisi dei governi di centrosinistra investì le confederazioni di un ruolo di cogestione delle politiche economiche nazionali, producendo troppa spesa pubblica e troppo poca produttività: le baby pensioni agli statali e il punto unico di scala mobile nacquero in quel clima, che trasformò in stato assistenziale finanziato in deficit ciò che sarebbe dovuto diventare un moderno sistema di welfare. I favolosi anni ‘70, accanto a grandi riforme «di struttura», ci regalarono anche inflazione e stagnazione: l’inizio del declino italiano.
Non è il momento di riprovarci
Non è il momento di riprovarci. Troppe cose sono cambiate per poter immaginare una riedizione di quella stagione. E neanche di quella successiva in cui il sindacato, invece di farsi governo, si fece opposizione del neonato centrodestra di Berlusconi, e pensò per un attimo di aver prestato un nuovo leader «cinese» alla sinistra del Circo Massimo, nella figura di Cofferati. Molto invece c’è da fare oggi — e penso che i tre segretari sindacali ne siano più consapevoli delle stesse sirene politiche che tentano di incantarli — per riconquistare invece la capacità di organizzare i lavoratori, di non lasciarli soli di fronte a nuovi padroni che non si sa nemmeno dove siano, coperti come sono dietro un algoritmo o il nome esotico di un fondo di private equity. E anche per combattere le sigle antagoniste o corporative che nelle pieghe della crisi sindacale si sono diffuse in questi anni nelle aziende, nei trasporti, negli uffici e nelle piazze. Non sempre infatti questo avviene con la necessaria coerenza. Prova ne sia lo stupore con cui una segretaria della Fiom, all’indomani dell’assalto alla Cgil, si è chiesta: non capisco perché ci attaccano, anche noi eravamo contro il green pass.
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