L’eredità delle due destre

di Ezio Mauro

Giorgia Meloni e il fascismo

Dunque non era pretestuoso, e soprattutto non è stato inutile, far carico a Giorgia Meloni delle ambiguità del suo partito rispetto all’eredità del fascismo come qualcosa che ancora sopravvive nei rituali, nei gesti e nel linguaggio dei militanti, e alla contiguità con gruppi e organizzazioni che esplicitamente si richiamano all’esperienza nazifascista. Proprio la crescita nei consensi della formazione dei “patrioti” ha imposto questa necessità, perché oggi non si tratta più di una forza marginale ridotta alla testimonianza di una stagione tragica, ma del primo o secondo partito del Paese, che pone esplicitamente la sua candidatura a guidare il governo dopo le prossime elezioni: e quindi un chiarimento sulla sua natura davanti a un nodo così cruciale per la democrazia diventava indispensabile. Insistere su questo punto non significa automaticamente evocare il pericolo di una riemersione del fascismo, ma parlare dell’oggi. È chiaro che il dramma italiano del secolo scorso non potrà riproporsi in mezzo all’Europa delle costituzioni liberali e nel cuore dell’Occidente democratico. Nessuno lo pensa. Ma allora tanto più è necessario chiarire davanti al Paese qual è il significato di questa indulgenza culturale e di questo culto clandestino persistente, come se si volesse trasmettere il messaggio che da qualche parte in Italia è custodito un lascito segreto che consente di decifrare nello stesso tempo la sconfitta e l’eternità. Un deposito mitologico occulto che nega la realtà e rinnega la storia, mentre ispira ancora, se non la rotta, il destino della destra nazional-sovranista, che ne conserva la mappa.


Sabato la leader di Fratelli d’Italia ha usato l’anniversario del rastrellamento nel ghetto ebraico di Roma per condannare “l’orrore” della “furia nazifascista” nella deportazione. È la prima volta senza ambiguità. Meloni e Salvini, infatti, non hanno mai voluto fare i conti col fascismo davanti al Paese, non lo hanno mai rivendicato e mai condannato, evocandolo per allusioni, costeggiandolo con accenni e sottintesi, richiamandolo con echi e risonanze. Questo uso indiretto della cornice di un fascismo disincarnato, fuori dal secolo e dalla vicenda storica, ha consentito l’esercizio libero dell’irresponsabilità politica, convivendo con riti, linguaggi e posture nostalgiche e con la presenza fisica di elementi che si rifanno esplicitamente a quell’ispirazione originaria. Così Salvini poteva alzare le spalle, evitando di dare un giudizio chiaro e netto sul ventennio e sulla sua eredità, dichiarandosi stufo delle domande sul tema. Meloni metteva in campo la sua giovane età come uno scudo e un’assoluzione, quasi le impedisse di chiarire il suo pensiero su quell’avventura e le sue persistenze. Anzi, chi chiedeva spiegazioni veniva accusato di essere prigioniero dell’ossessione per un fantasma. È ben evidente, invece, che le vere ossessioni erano d’altro tipo: quella della destra sovranista che quasi ottant’anni dopo è succube di tentazioni inconfessabili, incapace di cercare le sue moderne radici nella libertà della cultura repubblicana liberal-democratica; e quella degli intellettuali, perennemente indulgenti sull’indulgenza dei neo-nazionalisti verso queste pulsioni, e come sempre pronti a banalizzare sia l’esperienza storica del fascismo sia le nuove forme sciolte e sparse della sua impossibile riemersione.

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