L’eredità delle due destre


È dunque la forza delle cose che ha costretto Meloni a pronunciare le parole mai dette, non altro. Il peso degli avvenimenti, la conferma di ciò che si sapeva ma che adesso non si poteva più dissimulare, l’imbarazzo per le gaffe del candidato sindaco a Roma, la potenza rituale e violenta dell’assalto alla Cgil come una citazione degli Anni Venti del Novecento, l’errore di negare l’evidenza della “matrice” neofascista dell’assalto, mentre i volti nelle fotografie la confermavano. Un accumulo di sostanza ambigua incompatibile con la costruzione di una leadership candidata a guidare un Paese occidentale che da oltre settant’anni affronta e risolve le sue contraddizioni in un quadro condiviso di libertà e democrazia. E sabato, nel giorno anniversario del rastrellamento al ghetto ebraico di Roma, è arrivata una prima attribuzione di responsabilità al fascismo, finalmente chiamato per nome nelle sue colpe più tragiche, insieme con il nazismo. Meloni ricorda che il 16 ottobre del 1943 vennero deportati dal ghetto ebraico di Roma “dalla furia nazifascista” 1022 tra uomini, donne e bambini, e sopravvissero solo in 16. “Ricordare questo orrore, il momento più basso della storia d’Italia, è un dovere di ogni italiano – conclude -: mai più questo odio”.


La disumanità della deportazione, l’unicità dell’Olocausto hanno certo determinato la decisione della leader di Fratelli d’Italia. Questa volta però Meloni non si limita a denunciare la gravità inaudita dell’avvenimento, ma chiama in causa la responsabilità storica del nazifascismo, che al ghetto ha esercitato la sua “furia”, inscenando l”orrore” e macchiando per sempre la storia d’Italia. Da questo giudizio, per fortuna, sarà difficile tornare indietro, e lo stesso giudizio – se si è sinceri e si vuole essere coerenti – deve agire adesso da discrimine per comportamenti, espressioni, liturgie, presenze e pratiche che scusano quell’orrore per richiamarsi a quel nazifascismo. Le parole cioè rischiano di incidere sulle cose, e di condizionare la politica, se si prendono sul serio.


C’è ancora una considerazione. In tutto l’Occidente, dall’Europa all’America, i nodi irrisolti della destra radicale sono un problema della destra moderata, che agisce per denunciare il ritardo e gli errori degli estremisti, per avvertire delle conseguenze e dei pericoli che ne derivano, ed è in prima fila a pretendere una soluzione: lo ha fatto McCain negli Usa con Trump, lo fa oggi George W. Bush, come in Francia i gaullisti con Le Pen, per uno spirito di responsabilità repubblicana nella difesa del sistema democratico. Da noi no, non è così. È la sinistra, con Letta, che ha sottolineato le ambiguità dei sovranisti sempre più evidenti, e ha chiesto chiarezza. La destra che si autodefinisce liberale ha taciuto, perdendo l’ultima occasione di esercitare un’egemonia culturale sul suo campo, dopo aver perduto l’egemonia politica. Da Berlusconi ai suoi delfini d’acquario, nessuno ha sentito il dovere di marcare una posizione autenticamente liberale, perdendo un’evidente occasione in cui si fonda una leadership, morale e culturale, dunque politica. A conferma che l’incompiuta è il vero simbolo della destra italiana.

REP.IT

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