Pensioni: con la fine di Quota 100, doppio assegno per evitare lo scalone

di Valentina Conte

ROMA –  Gli ultimi “quotisti”, i primi “scalonati” e i pensionati a rate. Sono i tre profili previdenziali che si vanno a configurare nei prossimi mesi. I primi due sono certi, il terzo sfumato e appeso alle decisioni che il governo prenderà in legge di Bilancio. Vediamo a cosa corrispondono questi profili e cosa offrono a quanti pensano di anticipare la pensione.

Gli ultimi con quota 100

I “quotisti” corrispondono a quanti cercano di agganciare l’ultimo treno di Quota 100 prima della scadenza al 31 dicembre per lasciare il lavoro con almeno 62 anni e 38 di contributi. A due mesi e mezzo dalla fine della sperimentazione triennale voluta dal governo Lega-M5S poco più di un terzo della platea valutata nel 2019 vi ha aderito: alla fine si stima saranno 380 mila su 1 milione. Per il 70% uomini, il 30% donne. Nel 49% dei casi dipendenti privati, 31% dipendenti pubblici, 20% autonomi. Importo medio lordo della pensione: 25.663 euro all’anno. Fino ad agosto sono stati spesi 11,6 miliardi. Molto meno dei 21 stanziati.

I prossimi “scalonati”

Chi non ha i requisiti per Quota 100 dal primo gennaio 2022 potrà contare solo su quelli ordinari definiti dalla legge Fornero, mai scomparsi d’altro canto: 67 anni e almeno 20 di contributi per la pensione di vecchiaia e 42 anni e 10 mesi per quella anticipata (un anno in meno per le donne), a prescindere dall’età anagrafica. C’è però una categoria di lavoratori – gli “scalonati” – che più di altri sentirà il passaggio tra la flessibilità concessa da Quota 100, seppure solo per tre anni dal 2019 al 2021, e il ritorno alla normalità. Il caso emblematico è il nato nel 1959 che ha iniziato a lavorare nel 1984: non può fare domanda ora per Quota 100 perché ha 62 anni, ma solo 37 di contributi. Il suo compagno di banco – nato come lui nel 1959, ma che ha iniziato a lavorare dal 1983 – ha invece due mesi e mezzo di tempo per aggrapparsi a Quota 100. Mentre lui da gennaio diventerà “scalonato” e dovrà lavorare 5 anni in più, fino ai 67. In situazione analoga si trovano i nati nel 1958 e 1957, ma con “scalini” un po’ più piccoli da 3 e 4 anni.

Arriva la pensione a rate

Se i due profili precedenti sono concreti, per i pensionati “a rate” o “in due tempi” si tratta solo di un’ipotesi, elaborata dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico e presentata, con alcune simulazioni di platee e costi per lo Stato, nei giorni scorsi in commissione Lavoro della Camera, come opzione di flessibilità alternativa a Quota 100. I lavoratori che hanno 63-64 anni – sostiene Tridico – e una pensione mista, accumulata in parte con il sistema contributivo (si prende quanto si versa) e in parte con il sistema retributivo (si prende in base agli ultimi stipendi), se vantano almeno 20 anni di contributi e una futura pensione pari almeno a 1,2 volte l’assegno sociale (620 euro) allora possono chiedere di lasciare subito il lavoro.

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