La Lega in crisi scuote il governo: ora Draghi concede quota 102
Ilario Lombardo
ROMA. Le prime indiscrezioni ufficiali che arrivano sulla manovra economica sono il riflesso delle debolezze dei due partiti di maggioranza usciti sconfitti dal voto. E dei timori di Mario Draghi. Concedendo un compromesso sulle pensioni, con Quota 102, dunque nella direzione auspicata da Matteo Salvini, e sul reddito di cittadinanza, salvaguardando gran parte della formula voluta dai M5S, il presidente del Consiglio cerca di tenere assieme la coalizione finita in frantumi dopo oltre un mese di campagna elettorale, e a novanta giorni circa dalla partita per il Quirinale, che potrebbe vederlo protagonista.
Non c’è lui a Palazzo Chigi, quando le delegazioni dei partiti accompagnati dai responsabili economici incontrano il ministro dell’Economia Daniele Franco per trattare sulle misure che finiranno in manovra, e prima ancora nel Dpb, il Documento programmatico di bilancio che oggi dovrebbe essere discusso in cabina di regia, alla presenza del premier, e poi votato in Consiglio dei ministri. L’esito finale dei ballottaggi è ormai chiaro. Il centrodestra è sconfitto, la Lega raccoglie i cocci della propria disfatta, mentre il peso del M5S si misura dalla totale assenza nel dibattito delle città al voto.
Non è un problema di poco conto sugli equilibri del governo. Soprattutto se i contraccolpi del dopo-elezioni si riverberano sulle riforme ancora da completare e sulla legge di Bilancio. I veti dei partiti si fanno sentire. Negli ultimi giorni, tra Draghi, Franco e i loro collaboratori, si è molto discusso di pensioni, e di come superare Quota 100 senza scatenare le ire di Salvini. La fase transitoria che porterebbe la somma tra contributi e anagrafe a 102 durerebbe due anni ed è la mediazione che permette a Draghi di placare la fame di risultati del leghista. I tecnici ci stanno lavorando ancora sopra per definire i dettagli finali e superare le ultime resistenze. Il costo delle coperture non è indifferente e l’idea non piace troppo al Pd. D’altronde appena ieri, proprio su questo giornale, l’ex ministro Elsa Fornero, arcinemica di Salvini e consulente di Draghi, aveva definito l’ipotesi di Quota 102 «un altro errore» da non compiere. Nella segreteria di Enrico Letta lo considerano un cedimento ai populisti, in contrasto con le indicazioni europee e neanche troppo velatamente vi intravedono un calcolo politico: Draghi non può permettersi di alienarsi la Lega, tanto più se in gioco c’è la sua nomina al Quirinale a fine gennaio-febbraio, quando avrà bisogno dei voti di tutti o quasi in Parlamento. Sempre che la sua candidatura prenda quota.
Agli occhi del premier, questo governo – il governo di unità nazionale che va da Leu a Salvini – non ha alternative. E lo smottamento leghista è un rischio ancora più concreto dopo il crollo nelle urne. L’ala sovranista, la più critica e la più scettica sull’esecutivo dell’ex banchiere, ha ripreso a scalciare. Draghi sa che deve mettere al riparo la finanziaria da 25 miliardi e poi la riforma sulla concorrenza, che intende presentare tra fine ottobre e inizio novembre, già alleggerita del capitolo più divisivo: le concessioni balneari su cui sempre Salvini si è mostrato irremovibile.
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