Centrodestra, la débâcle ora spinge Salvini a rafforzare l’esecutivo: “Non usciremo”

di Annalisa Cuzzocrea

 “La strategia sul governo non cambia”. Darà pure una delusione a Giorgia Meloni, Matteo Salvini, ma la direttiva che – a sera – impartisce ai luogotenenti di Camera e Senato, è: “Non accettiamo provocazioni”. La tentazione del centrosinistra vincente potrà anche essere quella di spingere la Lega fuori dall’esecutivo guidato da Mario Draghi, ma la risposta del segretario sarà – almeno per ora – andare in direzione contraria: infittire il più possibile i suoi incontri con il presidente del Consiglio. Cercare di farsi ascoltare di più, a partire da pensioni e reddito di cittadinanza. Incidere, ma senza strappi. Senza follie. Anche perché, non è che stare all’opposizione abbia portato chissà quanti voti agli ambiziosi Fratelli d’Italia. I consensi di Giorgia Meloni restano alti nei sondaggi, ma al momento delle scelte non sfonda, come si è visto a Roma con Enrico Michetti. Non è nei fuochi e nelle barricate, che l’ex capo del Viminale andrà a cercare il consenso perduto. Anche se non esclude più nulla, perché il momento è uno dei peggiori: la sconfitta – per quanto nascosta da surreali dichiarazioni ufficiali – è bruciante. Chi gli è vicino fa notare che lo è per tutti: perde anche Giancarlo Giorgetti, che aveva sostenuto più di tutti il candidato torinese Paolo Damilano, quasi intestandoselo. E che a Varese aveva organizzato gli Stati generali della Lega, con il vagheggiato ritorno del Partito del Nord produttivo cui i cittadini non hanno evidentemente creduto. Perde il presidente del Veneto Luca Zaia nella sua Conegliano. Così, la prima cosa che Salvini annuncia è una “campagna di ascolto dei cittadini, un confronto serrato con categorie produttive e sociali, amministratori locali, famiglie e imprese, per riscrivere l’agenda delle priorità”. 

Le tecniche social della Bestia- continuate pur con Luca Morisi lontano – non sono servite a nulla. Gli attacchi alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, ripetuti ancora ieri, altrettanto. Così come non è servito cannoneggiare le decisioni del governo sul Green pass senza riuscire a cambiare di una virgola le scelte.  Claudio Borghi, il deputato meno convinto della linea “responsabile”, che continua a rispondere ai suoi follower: “Uscire dal governo? Ma dai, non ci avevo pensato”, crede che alla sconfitta abbia portato la permanenza dentro una maggioranza che nulla ha a che fare con le battaglie leghiste. Per questo, confida a Repubblica di guardare a quello che potrebbe accadere al Senato sul decreto Green pass, dove per i suoi emendamenti il Carroccio potrebbe cercare l’appoggio di quel pezzo di 5 stelle che – da Grillo a Conte – ha improvvisamente scoperto la necessità dei tamponi gratuiti per chi non vuole vaccinarsi. Ma il senatore Stefano Candiani sembra smentirlo: “Il Pd tenterà in ogni modo di provocarci per far cadere il governo, ma noi risponderemo con calma olimpica”, annuncia solenne. Convinto che a Varese, la sua città, a sinistra abbia funzionato “la strumentalizzazione del neofascismo, quasi mille persone non avevano votato al primo turno e lo hanno fatto al secondo per la paura di qualcosa che non c’è”. Quanto al Green Pass, sgombra il campo il senatore, “sono già state dette troppe sciocchezze e sono stati fatti troppi errori”.

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