Elezioni: nella crescita del non voto, decisivo il declino dei partiti di protesta

di Ilvo Diamanti

Nei giorni scorsi si è concluso questo “passaggio elettorale”, che ha rinnovato l’amministrazione di numerose città. Circa 1200 Comuni. Il voto di domenica riguardava i ballottaggi. Quindi, le città superiori a 15 mila abitanti, dove nessun candidato aveva ottenuto la maggioranza assoluta, al primo turno. I risultati sollecitano alcune riflessioni, già emerse dopo il primo turno. La prima riguarda l’esito della consultazione, rispetto ai principali partiti e coalizioni. Anche senza ripetere ciò che altri hanno già osservato, appare come la soddisfazione del PD e del Centro-Sinistra, allargato al M5S, sia giustificata. Hanno infatti vinto in circa metà dei comuni maggiori. E in 14 capoluoghi di provincia. Tra i quali 5 capoluoghi di Regione.

E, anzitutto, a Roma. La capitale. Oltre a Milano, Napoli, Torino e Bologna. Mentre il Centro-Destra ha mantenuto il governo della sola Trieste. Peraltro, con un risultato molto più equilibrato che in passato. Fra i comuni maggiori, peraltro, il Centro-Destra ha prevalso soprattutto nel Nord, dove è maggiore il peso elettorale della Lega. Mentre i risultati del Centro-Sinistra appaiono più equilibrati, anche se si è affermato, in particolare, nel Centro-Sud. Si tratta di aspetti già segnalati da osservatori e analisti. Come l’importanza assunta dalla coalizione del PD con il M5S, in alcuni contesti. Napoli, in primo luogo. E in 17, fra i comuni maggiori. Il M5S, peraltro, esce profondamente ridimensionato da queste consultazioni. Non tanto perché, “da solo”, mantiene il governo “solo” in 5, fra i Comuni maggiori. Ma perché ha perduto i suoi luoghi-simbolo. Le Capitali, dove aveva imposto la propria immagine. E il proprio ruolo. Roma e Torino. Senza trovare spazi alternativi. Paragonabili, per importanza e visibilità.

Il declino del M5S, naturalmente, non è una novità. La sua parabola dura da tempo. Da alcuni anni. In modo evidente, dopo il successo alle elezioni politiche del 2018, inatteso per le proporzioni assunte. Primo partito in Italia. E, dunque, in Parlamento. In seguito, non ha più ottenuto risultati paragonabili. In particolare, alle elezioni amministrative di ogni livello. Perché il M5S si è sempre definito un Non-Partito. Senza basi organizzative e senza presenza sul territorio.

E ciò ne spiega l’esito deludente anche in questa occasione. Ma contribuisce a comprendere, almeno in parte, altri aspetti che hanno caratterizzato il voto, in questa occasione. Mi riferisco, soprattutto al “non voto”. Che ha raggiunto misure davvero ampie. Tanto più se si valuta la quota dei votanti. Che ha sfiorato il 44%, senza raggiungerlo. E ha sottolineato l’ampiezza dei non-votanti: il 56%. Così oggi si ragiona sull’astensione come si trattasse di un fenomeno nuovo. Eclatante. Dimenticando come, in altre occasioni, abbia raggiunto proporzioni analoghe. Comunque, ampie. Alle elezioni Europee, per esempio. E alle Regionali. Nel 2014: in Calabria e in Emilia-Romagna.

Ciò induce a riflettere nuovamente sul significato del voto, per i cittadini. Che è cambiato profondamente, nel corso del tempo. Rispetto a quando si votava “per atto di fede” o “per appartenenza”. Quando i partiti esistevano davvero, esprimevano idee e ideologie, erano presenti sul territorio. Non solo sui media, tanto meno sui “social”- media, che non esistevano proprio. Il voto, allora, era un “dovere”.

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