Quei conti senza il voto

di Paolo Mieli

E se decidessimo di non votare mai più? C’è un’Italia che in modo ogni giorno più esplicito auspica un futuro post elezioni politiche con assetti più o meno simili a quello attuale. Mario Draghi dovrebbe restare a Palazzo Chigi per il resto dei suoi giorni, meglio se sostenuto da una maggioranza più profilata. Viene evocata, a tal fine, la formula «Ursula», cioè l’intero centrosinistra (grillini inclusi) con l’aggiunta, complementare, di Forza Italia. Sostengono, i fautori di questa ipotesi, che centrodestra e centrosinistra da soli e devastati da litigi non sarebbero all’altezza dei compiti incombenti sul futuro governo. Perciò, con l’introduzione di un sistema proporzionale, si potrebbe ottenere che nessuno dei due fronti conquisti la maggioranza dei seggi e, di conseguenza, pronube le «forze» di centro , si r icongiungerebber o i partiti che nel luglio del 2019 votarono per la von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. Tutti assieme darebbero vita ad un esecutivo assai simile all’attuale che però escluderebbe la Lega e sarebbe così dotato della stabilità adatta ad affrontare un quinquennio che si annuncia pieno di occasioni ancorché assai complicato. Beninteso il tutto — e lo si dice esplicitamente — dovrebbe restare sotto la guida di Draghi. Secondo questo schema gli italiani voterebbero sì, tra un anno o due, per le politiche, ma l’effetto delle elezioni sarebbe, per così dire, fortemente mitigato. Di fatto la consultazione servirebbe solo a ridefinire le quote ministeriali dei partiti di maggioranza. Per il resto tutto resterebbe com’è stato deciso prima del voto. Anzi, come è adesso .

È un’idea molto interessante che — è evidente — ha come presupposto un sincero afflato di apprezzamento per l’opera dell’attuale presidente del Consiglio. Anche se tra i sostenitori di questa prospettiva si può scorgere qualcuno che, nel nome della luminosa prospettiva, intende più prosaicamente ostruire la strada che tra gennaio e febbraio 2022 potrebbe portare Draghi alla presidenza della Repubblica. Ma i più — tra i quali molti che furono ultras del maggioritario, diventati ora combattivi proporzionalisti — sono davvero animati dalla preoccupazione che un assetto governativo diverso da quello attuale precipiti l’Italia in un caos. Una confusione inadatta ad accogliere e gestire i fondi provenienti dall’Europa per una felice ripresa dopo la depressione pandemica.

A margine di questi ragionamenti è però doveroso fare tre considerazioni. La prima è sui presupposti di queste suggestioni. Non fanno distinzione, i fautori del prolungamento dello status quo, tra lo stato in cui versano centrodestra e centrosinistra. E se è realistico immaginare un futuro assai problematico per il fronte salvinian-meloniano (che pure, stando ai sondaggi, dispone ancora di un buon serbatoio di voti) molto è cambiato in quello lettian-contiano. Nel senso che la leadership Pd sull’intero fronte antidestra è allo stato delle cose fuori discussione. E questa leadership dispone di ex presidenti del Consiglio (a cominciare dallo stesso Enrico Letta) nonché di un personale governativo del tutto rispettabile. Quanto all’influenza del M5S su questo versante sarebbe più o meno identica in entrambe le combinazioni: centrosinistra votato dagli elettori o «Ursula» intesa come «Ulivo super allargato» (a Berlusconi).

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