Energia, Polonia e frontiere: Draghi sfida i sovranisti

ALESSANDRO BARBERA

DALL’INVIATO A BRUXELLES. «Mario, vieni a salvarci». Bruxelles, sala del Consiglio europeo, ieri. Dopo oltre tre ore di litigi sulla richiesta avanzata da ben dodici Paesi di finanziare la costruzione di muri ai confini con l’Europa con fondi del bilancio europeo, i Ventisette non riescono a trovare l’accordo nemmeno su una formula di compromesso da inserire nel comunicato finale. Uno dei capi di Stato – così appare nei verbali della riunione – chiede a Draghi di contribuire a scriverla. Il premier si avvicina al presidente, il belga Charles Michel, e dopo una buona mezz’ora ne esce la seguente frase: «Il Consiglio europeo invita la Commissione a proporre ogni cambiamento necessario e a misure concrete per assicurare una risposta immediata e in linea con la legge dell’Unione, inclusi i diritti fondamentali». L’inciso è sufficientemente vago ad accontentare tutti. Il blocco dei Paesi favorevoli ai muri dice di aver avuto ciò che chiedeva. In conferenza stampa Draghi smonta l’assunto: «Sembra un’apertura ai muri, ma è vero il contrario. Perché un’ipotesi del genere dovrebbe passare dal sì della Commissione e dal voto del Consiglio, dove non siamo tutti d’accordo». Non solo. «Con questo linguaggio possiamo riaprire la discussione sul patto d’asilo, fermo da più di un anno. Per un’eterogenesi dei fini quello che doveva essere un paragrafo sul finanziamento sui muri ha aperto uno spiraglio in senso opposto. Siamo molto soddisfatti». L’episodio è rivelatorio del clima pessimo che si respira fra i leader dell’Unione, ma conferma ciò che molti avevano pronosticato: con l’uscita di Angela Merkel dalla cancelleria di Berlino, l’ex numero uno della Banca centrale europea – seppure unico non eletto dell’Unione – si è già ritagliato il ruolo del gran mediatore.

La poltrona vacante a Berlino (le trattative per il nuovo governo si trascineranno fino a Natale) lascia praterie al protagonismo del premier italiano. Di prima mattina, in anticipo sulla riunione con gli altri leader, Draghi si chiude in una stanza con il francese Emmanuel Macron. L’obiettivo è quello di una linea comune su tutti e tre i temi in agenda: l’immigrazione, il caso polacco, l’energia. Sui migranti il dibattito interno all’Unione è sempre più incartato: naufragato ogni tentativo di ottenere la redistribuzione dei richiedenti asilo, i leader lamentano i «movimenti secondari» di coloro i quali, entrati in Europa da un confine, si muovono liberamente dentro l’Unione. C’è chi solleva anche l’ipotesi di rivedere le regole di Schengen. Da gennaio la presidenza di turno dell’Unione – ora in mano al sovranista sloveno Janez Jansa – passa a Macron, che nel frattempo sarà nel pieno della campagna elettorale per la rielezione all’Eliseo. Anche per questo Draghi continua a sostenere la linea francese di protezione delle cosiddette «frontiere esterne», in particolare quelle africane, e dunque gli accordi con i Paesi del Nordafrica e del Sahel per prevenire i flussi di migranti irregolari.

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