Pensioni più alte, la vera rivoluzione
Pietro Garibaldi
Come la caduta delle foglie arriva ogni anno intorno ad ottobre, nella politica economica l’annuncio dell’autunno è spesso associato al ritorno del dibattito sulla riforma delle pensioni. Chi ha già qualche capello bianco, ricorda certamente che di riforma e aggiustamenti del sistema pensionistica si parla continuamente da quasi venticinque anni. Sembra davvero sia impossibile sottrarci a questa eterna discussione. Come ha ricordato ieri il presidente del Consiglio, il tema sul tavolo è il superamento di quota 100, il meccanismo di pensione anticipato introdotto nel 2018 dall’allora governo giallo-verde appoggiato da Lega e Cinque Stelle e presieduto da Giuseppe Conte. Grazie a quota 100, introdotta in via sperimentale tra il 2018 e il 2021, è stato possibile in questi anni andare in pensione a 62 anni con almeno 38 di contributi, oppure a 63 con 37 anni, in modo da garantire che la somma di anni e contributi sommi a cento.
Il problema politico attuale riguarda cosa accadrà dal 2022 se non si interviene in alcun modo. Il rischio è la comparsa nel sistema di un cosiddetto “scalone”, ossia la possibilità che per una certa coorte di persone – specificatamente quelle che oggi ha circa 62-63 anni ed è nata intorno al 1957 e 1958 – vi sia di colpo un innalzamento della età di pensione di 4 o 5 anni. Lo scalone è certamente un problema di iniquità, e per affrontarlo il Governo ha annunciato che dal 2022 introdurrà diverse ipotesi di gradualità. Le ipotesi sul tavolo riguardano l’introduzione di quota 102 nel 2022 e quota 104 nel 2024. Con quota 102 si potrebbe andare in pensioni a 64 anni e 38 anni di contributi nel 2022. Con quota 105, nel 2023 servirebbero 65 anni e 39 di contribuzione. Queste ipotesi sembrano però scontentare tutti e soprattutto i sindacati. Non si riesce a capire il motivo di tanto nervosismo. Innanzitutto perché quota 100 non è stata affatto gradita dagli italiani. I numeri forniti dall’Inps nel suo rapporto annuale mostrano che quota 100 non è stata utilizzata tra gli aventi diritti. Le 75 mila persone che hanno utilizzato quota cento rappresentano soltanto il 20 percento circa degli aventi diritti, un valore molto inferiore rispetto a quello che lo stesso Governo aveva elaborato. Il problema della poca popolarità di quota 100 è legato al fatto che i lavoratori non sembrano accettare che l’anticipo del pensionamento sia associato a riduzione permanente dell’assegno, che nel caso di quota cento oscilla tra il 10 e il 15 percento.
Alla luce delle scelte degli italiani sembra infatti che un livello di reddito di questo tipo non sia sufficiente a garantire un livello di vita dignitoso. Inoltre, nel sistema attuale esistono già diversi meccanismi per anticipare l’età pensionabile. Non solo opzione donna – dedicata alle lavoratrici intorno ai 62 anni – ma anche la cosiddetta Ape (anticipo pensionistico) e l’Ape sociale, uno strumento di anticipo destinato a selezionate categorie di lavoratori. In altre parole, diversi strumenti di flessibilità esistono già nel sistema. Il vero problema è che tutti questi strumenti- oltre a garantire la possibilità di anticipare l’età pensionabile- richiedono un abbassamento del livello della pensione.
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