Calenda: “Draghi a Palazzo Chigi oltre il 2023 e al Quirinale vedrei bene Gentiloni”

Niccolò Carratelli

ROMA. La cosa migliore per l’Italia, secondo Carlo Calenda, è che Mario Draghi resti a palazzo Chigi, anche dopo il 2023. Il leader di Azione spera di essere il «perno di un’alleanza europeista e pragmatica», che si contrapponga a sovranisti e populisti. Non chiude la porta a Giuseppe Conte, «ma non so se ce la fa a restare in sella», perché «i 5 stelle esploderanno e potremo lavorare con la parte buona, quella governista». Nell’intervista con il direttore de La Stampa, Massimo Giannini, per la trasmissione “30 minuti al Massimo” (versione integrale su lastampa. it), Calenda boccia la riedizione dell’Ulivo, che ha in mente Enrico Letta, «sarebbe un casino perenne» e lancia il nome di Paolo Gentiloni per il Quirinale.

Prima di tutto, cosa ci fa con questi 220mila voti presi nella corsa a sindaco di Roma?
«Parto subito in tour e girerò tutta l’Italia, da Bolzano a Messina: per recuperare voti bisogna andare a parlare con le persone, anche nei piccoli comuni. Vorrei che Azione fosse il perno di un’area ampia, mettendo insieme le persone ragionevoli, che vogliono che si governi per e non contro».

Un grande o piccolo centro, a seconda dei punti di vista?
«Per me si deve andare verso una maggioranza Ursula, che è quella che governa in Europa. La divisione ormai è tra partiti europeisti e partiti antisistema. In tutti Paesi le grandi famiglie politiche si sono alleate per tenere lontani populisti e sovranisti, solo da noi non è successo».

Questa maggioranza con chi la fa?
«Partito democratico, liberali, riformisti e un pezzo di Movimento 5 stelle, che esploderà in due direzioni: da una parte i governisti dall’altra chi è rimasto a Maduro».

Quindi con Conte potete collaborare?
«Non ho problemi con Conte, penso solo che non abbia governato bene e che rischi di non farcela a resistere alla guida del Movimento. Ma ci sono altri 5 stelle, tipo Patuanelli e Todde, con cui parlo e che credo facciano un buon lavoro. Con Di Maio sono più in difficoltà, perché al Mise ha fatto uno sfascio e ritengo serva una classe dirigente di qualità, che amministri con competenza».

Comunque, l’idea del nuovo Ulivo che coltiva Letta non la convince, giusto?
«È una visione vecchia, fatta con lo specchietto retrovisore, che punta a mettere tutti insieme così non vince la destra e stop. Poi le grandi coalizioni hanno dimostrato di non funzionare, con i partiti che più sono piccoli e più condizionano il governo».

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