Giovannini: «Il Recovery plan cambia il gioco. Nessuno vorrà remare contro»

di Federico Fubini

Due giorni fa al Corriere, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha detto: «I partiti non capiscono. Assediano il governo dando l’assalto alla diligenza, invece di concentrare risorse sulla produttività e la crescita». Enrico Giovannini, 64 anni, ministro delle Infrastrutture, ha un posto ora di prima fila, ora sul palco, nel teatro delle tensioni fra forze di maggioranza e governo tecnico.

Ministro, cosa pensa delle preoccupazioni di Bonomi?
«Distinguerei fra Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e legge di bilancio».

In che senso?
«Contrariamente a ciò che molti pensano, il Pnrr ormai è scritto e va attuato. La parte degli investimenti è precisata nel dettaglio. Lo dico perché molti pensano di poter imbarcare progetti nel Pnrr all’ultimo momento su temi che non sono stati inseriti nella versione andata a Bruxelles».

Lei riceve pressioni?
«Vedo tante dichiarazioni in questo senso, ma oggi non è più possibile. Per ciò che concerne invece le riforme del Recovery, è evidente che alcune sono divisive perché altrimenti si sarebbero già fatte in passato. Dunque, è legittimo che i partiti esprimano il loro punto di vista su misure incisive come quelle sulla concorrenza, quella fiscale o sugli appalti. Ma questa è la democrazia».

Poi però la democrazia deve produrre decisioni, no?
«Esatto. E finora questo governo è stato capace di decidere. Non è che siano stati solo distribuiti sostegni. Sono state prese decisioni importanti anche su riforme specifiche, magari settoriali, i cui frutti avranno effetti nel tempo. Per esempio abbiamo tagliato drasticamente i tempi del contratto di programma di Ferrovie dello Stato, perché era la precondizione per assegnare in tempi record i fondi. Nel passato arrivavano due o tre anni dopo. Ora il Parlamento ha accettato di non discutere nel dettaglio la lista delle opere, in gran parte già incorporate nel Pnrr».

Ma questo metodo può valere per i nodi politici?
«La riforma fiscale o della concorrenza sono più complesse. Ma finora il governo ha sempre trovato i punti di equilibrio. Si è deciso, non si è rinviato. Diverso è il discorso della legge di bilancio».

Perché diverso?
«Qui, come normale, i partiti spingeranno ognuno per alcuni aspetti. Del resto è il Parlamento che deve votare la legge. La differenza rispetto al passato è che c’è uno spazio per investimenti e non solo in infrastrutture. Anche in formazione, ricerca, capitale umano».

Bonomi dice che troppe risorse sono assorbite per gestire politiche dei governi precedenti, che non fanno crescere: da quota cento al reddito di cittadinanza
«È una discussione che si può fare una volta che lo schema della legge di bilancio sarà approvato. Non posso commentare qualcosa che il governo non ha licenziato».

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