Pensioni con quota 103, stretta sul Reddito, taglio delle tasse: le nuove scelte del governo

Diventerà obbligatorio allegare alla domanda un certificato di residenza recente e si dovrà firmare la “Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro” del richiedente e dei suoi familiari, prima ancora che la domanda venga presa in esame. È poi previsto un intervento sulla potenziale via di uscita dal sussidio che al momento appare, quantomeno, ostruita.

Oggi i beneficiari perdono l’assegno solo se rifiutano tre proposte di lavoro «congrue» da parte del loro centro per l’impiego, ma non accade quasi mai: di rado questi uffici pubblici non riescono ad arrivare alle tre proposte e intanto molti percettori arrotondano lavorando in nero. Di qui l’idea che chi beneficia del Reddito ne perderebbe una parte già al primo rifiuto di un’offerta di lavoro oppure, più probabilmente, a partire dal secondo rifiuto. Questi due interventi dovrebbero far risparmiare almeno 700 milioni rispetto all’aumento di 1,5 miliardi temuto nel costo del Reddito di cittadinanza l’anno prossimo.

Nel tentativo di tornare al diritto di pensione piena a 67 anni nei casi ordinari
, Draghi e i suoi tecnici devono convincere soprattutto la Lega.

Eppure quasi nessuno degli altri partiti di maggioranza (con l’eccezione di Italia Viva) sta aiutando il premier. Intanto nelle vesti di negoziatore per la Lega è rispuntato Claudio Durigon, l’ex sottosegretario all’Economia dimessosi per aver proposto di intitolare un parco a Arnaldo Mussolini. Draghi e il ministro dell’Economia, Daniele Franco, volevano nel 2022 un passaggio a Quota 102 (per esempio, 64 anni di età e 38 di contributi), a Quota 104 nel 2023 e l’esclusione solo dei lavori realmente usuranti dal 2024 in poi. Questa proposta non passerebbe in Consiglio dei ministri, dunque sono allo studio due possibili alternative.

La prima prevede il ritorno alla normalità pensionistica
di prima del governo giallo-verde dopo un biennio di Quota 102, ma magari con una particolarità: nel 2023 anno l’assegno sarebbe calcolato con metodo contributivo (cioè sulla base di quanto ciascuno ha effettivamente versato nel sistema). Ciò ridurrebbe i costi e affermerebbe il principio che non devono essere i giovani a pagare il debito futuro di chi sceglie di andare in pensione prima oggi.
La seconda e forse più probabile ipotesi prevede invece la spalmatura della transizione su un anno in più, con maggiore gradualità: si avrebbe Quota 102 nel 2022, Quota 103 nel 2023 e Quota 104 (in pensione a 66 anni) nel 2024. Il costo supplementare di questa spalmatura lenta sarebbe di 150 milioni di euro – rispetto ai 600 previsti prima – e ci sarebbe un vantaggio politico: non ci sarebbe uno sbalzo l’anno seguente in vista di un ritorno al ritiro a 67 anni, dunque le pressioni per una nuova controriforma sarebbero forse minori.

Del resto non c’è alternativa
. Ogni spesa in più per pensioni o reddito di cittadinanza rischia di andare a intaccare la riserva per ridurre l’aliquota Irpef del 38%. E, a sette miliardi, il taglio è già al minimo indispensabile perché si avverta.

CORRIERE.IT


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