Stop ai negoziati col Tesoro. Salta la vendita di Mps. Parte la caccia a 2,5 miliardi
Unicredit e il Tesoro ufficializzano il divorzio su Monte Paschi a ridosso dell’apertura di una nuova settimana borsistica. E da questa mattina la parola torna a Piazza Affari: da un lato per Mps stringono i tempi per provvedere al rafforzamento di capitale (almeno i 2,5 miliardi previsti dal piano stand alone, su cui l’Europa deve deliberare, anche se non mancano stime più elevate), dall’altro Unicredit rischia di rimanere «zitella», in un momento in cui le banche italiane accelerano nel consolidamento. Dopo l’escalation di indiscrezioni nel corso della giornata di sabato, ieri pomeriggio il gruppo di Piazza Gae Aulenti e il Mef (che di Rocca Salimbeni ha il 64% del capitale) hanno comunicato, in uno stringatissimo comunicato stampa congiunto, il naufragio o meglio «l’interruzione dei negoziati relativi alla potenziale acquisizione di un perimetro definito di Mps», sottolineando che la rottura è avvenuta «nonostante l’impegno profuso da entrambe le parti». A parole nessuno strappo definitivo.
La trattativa si sarebbe scontrata sulle divergenti valutazioni degli asset e sulla definizione del perimetro della banca senese oggetto dell’operazione e, di conseguenza, su dote ed esuberi da riconoscersi a Unicredit per sobbarcarsi la travagliata banca senese. Andrea Orcel, ad dell’istituto di Piazza Gae Aulenti, era stato chiaro che avrebbe rilevato solo gli asset di suo interesse e che assicurassero la «neutralità di capitale» e la crescita del 10% dell’utile per azione. E, terminata la due diligence, il conto finale per lo Stato pare si fosse assestato a non meno sette miliardi di euro. Troppo per Palazzo Chigi che, in assenza di una soluzione di compromesso, ha quindi deciso di passare oltre. «Tre quarti del governo era contro l’operazione. C’era un problema di sovraesposizione in alcune zone d’Italia», ha dichiarato Lando Maria Sileoni, leader della Fabi: «Non permetteremo nessun licenziamento». Ma, senza interlocutori alternativi in grado di portare a termine una integrazione di Rocca Salimbeni (del Fondo Apollo, il primo ad aver chiesto l’accesso al data room di Mps si sono perse le tracce), per il Tesoro il tempo stringe. Salvo proroga da parte della Commissione Europea, che finora non è stata chiesta, entro fine anno il Mef dovrà definire l’uscita da Siena e prevedere una iniezione di capitale in accordo con Francoforte e Bruxelles. «Riteniamo che debba essere risolto il nodo cruciale della ricapitalizzazione e, attraverso la proroga dei termini concordati con la Ue per l’uscita dello Stato dal capitale della banca, ricercate altre possibili soluzioni, hanno sottolineato i vertici di Fisac-Cgil. Il risultato è tutt’altro che scontato per la banca più antica del mondo su cui nel frattempo Roma potrebbe iniziare a programmare interventi mirati (come, d’esempio, la cessione dei crediti incagliati ad Amco e degli sportelli del centro-sud a Mcc) per alleggerire l’inevitabile iniezione di capitale. Sul mercato intanto serpeggia il timore che, ancora una volta, e salvo colpi di scena, si assista a un rush finale di fine anno per mettere in sicurezza Mps.
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