Draghi difende la riforma delle pensioni: «La scelta del sistema contributivo non si cambia»
Quando Draghi lascia l’incontro, con il motivo di un impegno pregresso che copre in modo diplomatico un’irritazione che a molti è apparsa manifesta, il confronto con i sindacati prosegue per soli dieci minuti, lo presiede il ministro Renato Brunetta ma si capisce che ormai c’è poco da discutere: la manovra è sostanzialmente chiusa, tranne per poche modifiche, i saldi non sono modificabili, resta da trovare un’intesa con la Lega sulla fine graduale di quota 100 e poco altro. Una fonte di governo legge in questo modo quella che è anche un concorrenza politica fra sindacati e partiti, in testa la Lega: «Questa è una manovra distributiva, che inietta sull’economia del Paese più di 23 miliardi di euro, e proprio per questo ognuno vuole dire la sua. È stato più facile definire la destinazione di 200 miliardi di euro del Piano nazionale di riforme, visto che i paletti li aveva fissati Bruxelles e lo spazio politico era praticamente inesistente». Ma è proprio lo spazio politico che appare confliggere con la ragione sociale del governo presieduto da Mario Draghi: difficile mettere insieme le ragioni dei sindacati con quelle della Lega, del Pd, dei Cinque Stelle e di Forza Italia. Ne uscirebbe una manovra fiscale cacofonica, e anche per questo motivo si è proceduto finora con un sostanziale accentramento delle scelte. Il capo del governo ha concordato con i partiti una cornice di massima su alcune decisioni di fondo, poi ha dato ampia delega al Tesoro di procedere nella scrittura del provvedimento. Del resto questo governo non è nato per concedersi delle trattative, almeno oltre una certa soglia, con gli stessi partiti che lo appoggiano. E finora nessuno ha messo in discussioni le scelte adottate dal premier. Sarà così anche con la manovra di Bilancio. L’annuncio di una possibile mobilitazione, ieri sera, da parte dei sindacati, veniva registrata a Palazzo Chigi senza reazioni particolari.
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