Cottarelli: “È una manovra di compromesso, il premier resti per finire le riforme”

Cosa privilegiare tra Irpef e Irap? Alleggerire il carico fiscale che pesa sulla busta paga dei dipendenti o ascoltare Confindustria che chiede un superamento dell’imposta sulle attività produttive?
«Dobbiamo essere chiari: quando si taglia il cuneo fiscale a beneficio dei lavoratori poi la ripartizione di questo taglio dipende dai contratti che vengono fatti dalle imprese. Qualcuno potrebbe dire che siccome c’è stato un calo delle tasse, allora l’aumento di stipendio sarà più basso. È la contrattazione tra le parti che determina chi beneficia di un taglio delle imposte. Nell’immediato è ovvio che sono i lavoratori che ne beneficiano, però al prossimo round salariale sarà la contrattazione che determina come quei soldi verranno effettivamente distribuiti».

Il cantiere previdenziale è stato il nodo più intricato da sciogliere, alla fine la riforma non è stata realizzata.
«Si potrebbe dire che tra un anno si tornerà alla situazione pre Quota 100. In realtà, il governo vuole discutere un nuovo assetto e questo ha tranquillizzato i sindacati. È una legge di bilancio che rinvia diversi interventi a una discussione successiva per evitare scontri».

Draghi si è piegato alle pressioni di sindacati e partiti?
«Non so se si possa dire che il governo si è piegato, intanto si arriva a Quota 102. Non si voleva turbare la ripresa dell’economia con un conflitto con i sindacati».

Bisognerà capire quale governo avremo in carica tra un anno, magari sarà il prossimo esecutivo a fare la vera riforma delle pensioni?
«Si prolunga di un anno l’incertezza: “Kick the can down the road”, come si dice in inglese (“calcia la lattina in avanti”, ndr). Vedremo che governo ci sarà: tutto ruota attorno a questa incertezza su quanto Draghi rimarrà a fare il presidente del Consiglio. Io credo che sarebbe utile se rimanesse fino al 2023».

Si aspettava un po’ più di coraggio dall’esecutivo dei migliori?
«Quando si ha una maggioranza così variegata bisogna trovare dei compromessi, è inevitabile. Non mi aspettavo qualcosa di molto diverso».

Passiamo al reddito di cittadinanza: un miliardo in più, controlli ex ante sui requisiti e un décalage dell’assegno dopo 6 mesi. Cosa ne pensa?
«Mi sembra ci sia un restringimento dei criteri, si cerca di attenuare gli effetti negativi. Non è una revisione complessiva del reddito di cittadinanza. Resta sostanzialmente lo strumento che era prima. Ci sono alcuni cambiamenti, ma non è una riforma».

Anche la riforma degli ammortizzatori sociali non appare del tutto definita.
«Ci sono 3 miliardi, il ministro del Lavoro Andrea Orlando aveva inizialmente parlato di 7 miliardi per gli ammortizzatori, si inizia un percorso, ma i soldi non sono tanti».

Ora la Finanziaria approda in Parlamento e la maggioranza già promette una pioggia di emendamenti, teme che sarà smontata?
«Sappiamo che una legge di bilancio non può essere cambiata nei saldi fondamentali, non c’è dubbio che la Lega e altri non siano contenti dell’intervento sulle pensioni e tenteranno di cambiare le norme».

Secondo lei se al posto di Mario Draghi a Palazzo Chigi ci fosse un politico, le istituzioni internazionali e i mercati sarebbero meno indulgenti davanti a una manovra come questa?
«Difficile da dire. Se si guardano i dati si vede che lo spread è lo stesso che aveva il governo Conte, intorno ai 100 punti base. Ora è a 116».

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