Lo Russo: “No al partito dei sindaci, ma contro la burocrazia romana serve un patto fra le città del Nord”

Cioè?

«Esiste una grande questione settentrionale che riguarda il rapporto degli enti locali con i poteri romani soprattutto con la burocrazia nei ministeri. Questa è una battaglia comune e trasversale».

Che rapporto ci sarà tra Torino e Milano?

«Positivo. Ho scelto il presidente dell’Ordine degli Architetti di Milano per guidare l’assessorato all’Urbanistica. Sono convinto che dobbiamo imparare da chi è all’avanguardia nella rigenerazione urbana. Non vogliamo utilizzare nuove aree ma recuperare l’esistente ma siamo indietro sugli interventi di demolizione e ricostruzione».

Sarà un rapporto di collaborazione o di competizione?

«Il rapporto può essere competitivo o collaborativo. È chiaro che se l’argomento del confronto è, ad esempio, lo scippo del Salone del libro, allora, non potrà che esserci competizione. Ma se invece dobbiamo candidarci insieme per vincere una gara europea per localizzare un centro di ricerca allora sicuramente ci sarà collaborazione. Insieme siamo più forti per battere la concorrenza internazionale».

Torino può essere un laboratorio politico per il centrosinistra?

«L’unità del centrosinistra che è stata una delle condizioni per la nostra vittoria. Abbiamo costruito una coalizione compatta in grado di offrire un messaggio che, malgrado un’altissima astensione, è stato premiato dai cittadini».

È il ritorno alla vocazione maggioritaria del partito democratico?

«La nostra non è una vocazione maggioritaria. Il Pd nasce per dare una casa al riformismo ed essere il baricentro della coalizione. So di aver chiesto sacrifici al mio partito nella formazione della giunta ma il nostro compito è quello di essere organizzatori del campo progressista».

E il M5S?

«A livello nazionale era stato ventilato un patto che immaginava una vittoria giallorossa facile al primo turno. Un percorso che non condividevo perché era lontano dalla realtà torinese».

A Roma l’intesa tra Letta e Conte sembra andare avanti?

«Le valutazioni politiche devono essere laiche. A livello nazionale bisogna verificare le traiettorie di una possibile alleanza tra Pd e M5S. Se le traiettorie coincidono ben venga un’intesa ma non mi scandalizzo se non ci sarà uniformità tra livello nazionale e quello locale. Del resto, per anni il partito socialista governava a Roma con la Dc e a Torino con il Pci».

Torino può essere allora un laboratorio socio-economico di una città che non è più una one town company?

«Il potere del sindaco in materia di politica industriale non c’è. Si tratta di competenze europee e nazionali e in questo quadro la città può giocare la sua parte».

Come?

«Dobbiamo stare nel cambiamento rafforzando la manifattura avanzata ma vorrei concentrare gli investimenti sul trasferimento tecnologico e nella formazione. Possiamo tornare competitivi investendo sul capitale umano, non sono nell’alta formazione ma anche negli Istituti tecnici».

L’astensione è stata altissima nelle periferie. Che cosa farà per ricucire il rapporto con quei cittadini?

«In campagna elettorale abbiamo parlato della necessità di prendersi cura delle persone e lo dobbiamo fare anche partendo dalle scuole. Ci siamo sforzati di spiegare che le periferie sono un ruolo di relazione tra persone e di cura del territorio. Questo messaggio è passato e ha permesso al centrosinistra di uscire dalla Ztl. Nell’area centrale della città si è creato un vuoto politico che è stato subito riempito da Damilano e dal centrodestra soprattutto in alcuni seggi della Crocetta».

Basterà?

«È un punto di partenza. Noi abbiamo deciso di introdurre una discontinuità di metodo nella gestione della città: rivitalizzeremo i rapporti con i corpi intermedi dando valore sociale alla mediazione. Vogliamo poi recuperare una correttezza nei rapporti istituzionali tra Comune, Regione e Governo. Rapporti che io immagino improntati alla concordia istituzionale e incentrati non sui rapporti personali o sul colore politico delle diverse amministrazioni».

A proposito, il ministro Giancarlo Giorgetti è stato uno dei principali sponsor di Paolo Damilano. Lei lo ha duramente attaccato. E adesso?

«Lui è il ministro, io il sindaco. Avremo un rapporto istituzionale e io difenderò gli interessi della mia comunità».

Come sindaco di Torino come gestirà le proteste No Vax?

«Come sindaco darò il massimo sostegno politico all’azione del governo Draghi su Green Pass e vaccinazioni. Sono per garantire il diritto a manifestare ma in modo pacifico. È necessario garantire il fatto che la città non resti in ostaggio di queste manifestazioni».

Timori di infiltrazioni neofasciste?

«L’attacco alla sede nazionale della Cgil è la prova del problema».

È favorevole allo scioglimento di Forza Nuova?

«Nessun dubbio al riguardo».

Come vede il futuro di Draghi?

«La mia speranza è che faccia il più a lungo possibile il premier».

Voterebbe Silvio Berlusconi come presidente della Repubblica?

«Credo che il capo dello Stato debba avere un profilo marcatamente istituzionale e un ruolo di garanzia di tutti e non di una parte. Un alto profilo istituzionale che deve aver caratterizzato tutta la sua vita politica. Da questo punto di vista Berlusconi non è adattissimo».

Il festival dell’Economia dopo aver lasciato Trento a giugno sarà ospitato a Torino. Che cosa ne pensa?

«Torino è la città dove le cose si riescono a fare bene. Dobbiamo far tornare la città ad essere attrattiva anche in termini di reputazione di competenza e di merito anche comunicando meglio. E dobbiamo farlo rimettendo in moto anche una visione internazionale della città. La mia ambizione è di trasformare Torino nel luogo dove gli investitori fanno la fila».

Crede molto nella competenza e nel merito?

«Si, fino ad arrivare a premiare chi lavora bene. Non c’è niente più di sinistra che premiare il merito perché così si applica la Costituzione. Compito della sinistra è quello di creare le condizioni perché non prevalgano censo o relazioni personali».

Da anni i portici del centro sono la casa di decine di senzatetto, che periodicamente vengono sgomberati, con un approccio che mescola a volte disordinatamente solidarietà, decoro e legalità. Quale sarà il suo approccio?

«Ce ne prenderemo cura, non li cacceremo. Ma se il modello di assistenza di queste persone si limita al dormitorio è chiaro che non basta perché molti lo rifiutano. Dovremo cambiare approccio».

Secondo l’architetto Carlo Ratti a Torino non si deve costruire più nemmeno un metro quadro su aree libere. Che cosa ne pensa?

«Ha ragione, il consumo di suolo va fermato. Una parte del patrimonio edilizio di Torino è vecchia e di scarsissimo valore: recuperarla non ha senso, meglio abbatterla e ricostruire».

Che approccio avrà al tema della produzione culturale della città?

«Negli ultimi anni enti e artisti si siano troppo concentrati sui bandi a cui dovevano partecipare per ottenere finanziamenti piuttosto che sulla produzione di cultura. Mia intenzione è cambiare gradualmente questo meccanismo: chi fa cultura deve progettare non passare il tempo a compilare moduli e rendicontare».

Che cosa pensa di lasciare alla città alla fine del suo mandato di cinque anni?

«Una Torino migliore di quella che ho trovato».

LA STAMPA

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