Manovra, dal Fisco alle pensioni: l’argine del premier ai partiti e al sindacato

I sindacati chiedono più flessibilità per andare a riposo, più soldi ai pensionati, vogliono dire la loro sui tagli fiscali. Tagli sui quali ciascun partito ha la sua ricetta: Pd e Leu propongono di destinare tutto al lavoro dipendente, Lega, Forza Italia e Italia Viva vogliono un segnale alle partite Iva, i Cinque Stelle l’una e l’altra cosa. A ormai due mesi dalla scadenza del mandato di Sergio Mattarella, e mentre inizia in Senato il dibattito sulla Finanziaria per il 2022, Mario Draghi è letteralmente assediato. Contando sulle sue ambizioni quirinalizie, ciascuno è convinto di poter ottenere un dividendo. Oggi il premier inizia coi sindacati. L’ultima volta che li ha incontrati, si è alzato visibilmente irritato. All’ordine del giorno c’è sempre la questione previdenza, che per paradosso sarebbe l’ultima delle priorità: una volta deciso il superamento del meccanismo di “quota cento”, ci sarebbe da decidere che fare nel 2022. Le sigle si siederanno al tavolo con un intento diverso, ovvero costringerlo a mettere mano a quanto deciso con la legge di bilancio. Usano l’eufemismo «miglioramenti», ma di questo si tratta. Draghi tenterà di limitare la discussione alla riforma prossima ventura, ed evitare così (nel 2023) il ritorno alla vecchia legge Fornero. L’ipotesi è quella di partire da un’età minima per tutti a 62 anni, introducendo maggiore flessibilità per le mansioni più gravose e le donne. Ma c’è di più: avendo rinviato al Parlamento la destinazione degli otto miliardi destinati al taglio delle tasse, Cgil, Cisl e Uil vogliono dire la loro. Sposeranno la tesi della sinistra, di Pd e Leu, chiedendo di concentrare i fondi sugli oneri in busta paga del lavoro dipendente. E poiché la gran parte dei loro iscritti sono pensionati, chiederanno qualcosa per gli assegni di un sistema che concede poco a troppi. Le premesse sembrano le stesse che fecero fallire le ambizioni del governo Monti nel 2011, che ebbe carta bianca giusto il tempo necessario a evitare il default finanziario salvo poi essere inghiottito dalle richieste dei partiti. La differenza con allora è che Draghi ha molte più risorse a disposizione, ma quello che in astratto dovrebbe essere un vantaggio è un limite. La sopra citata vicenda delle tasse è emblematica: nonostante gli otto miliardi a sostegno della ripresa post-Covid, i partiti non sono riusciti a trovare alcun accordo su come ripartirli. Il Pd e Leu vogliono una riduzione degli oneri contributivi per il lavoro dipendente, Lega Forza Italia e Italia Viva chiedono un taglio dell’Irap. Lega e Forza Italia, per distinguersi, vanno oltre, proponendo una nuova flat tax per il ceto medio sul modello di quella introdotta dal governo Conte uno (fino a centomila euro) e poi ridimensionata dal governo Conte due. Ancora: invocano una nuova, ennesima rottamazione delle cartelle esattoriali e di ammorbidire la stretta ai bonus edilizi. La Finanziaria e il decreto approvato la scorsa settimana non solo introducono limiti alla cedibilità dei crediti fiscali e alla durata degli incentivi, ma impongono un tetto di reddito a 25mila euro per le abitazioni unifamiliari. Lega e Cinque Stelle vogliono salire ad almeno 40mila.

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