Non sempre ha senso cambiare

Un conservatore peraltro — si badi — non è un reazionario. Non intende fermare il mondo e tanto meno farlo tornare indietro. Ciò che desidera è che non proceda in avanti troppo velocemente dal momento che non riesce a togliersi mai dalla mente il dettato della legge di Murphy: «Se qualcosa può andare storto, lo farà». Nel cambiare la cautela è d’obbligo. E ci sono cose che è meglio non cambiare: dalle gerarchie degli studi del merito e delle competenze alle ricette di certi piatti.

Il conservatore è convinto che in generale non convenga disprezzare la tradizione e tutto ciò che vi si riferisce. Che il senso comune, la morale corrente, le idee ricevute, vanno trattate con riguardo, non sono spazzatura. Che dunque esistono gli uomini e le donne, ad esempio: sebbene non gli passi neppure per l’anticamera del cervello d’impedire a chiunque di sentirsi l’uno o l’altra o, se proprio vuole, entrambi e di comportarsi di conseguenza. Purché ciò, beninteso, non venga usato per minare l’idea che esista quella cosa che si chiama natura, o per sbizzarrirsi nel fondare qualche nuovo concetto di normalità.

Egualmente egli pensa che esistano le nazioni, ad esempio che esista l’Italia: il che non gli dispiace. Quindi amerebbe che a cominciare dalle aule scolastiche — la scuola è una sua particolare fissazione — se ne apprendesse la storia, l’arte la letteratura e che se possibile se ne conservasse anche la lingua. Non solo: ma ad esempio che se ne proteggessero i paesaggi dall’invasione delle pale eoliche, le spiagge dall’eccessiva presenza di cabine e di ombrelloni, le vie e le piazze dal pullulare dei tavolini di bar e ristoranti.

Il conservatore insomma vorrebbe che non andasse in malora il mondo in cui è nato. Anche per questo egli ama la Patria, benché sulla base di una triste esperienza (e per un certo buon gusto) diffidi dei «patrioti», specie di quelli che a gran voce si proclamano tali. Il che non significa che allora egli sia contro l’Europa. Ne apprezzerebbe molto, però, una minore dose di retorica buonista e di autocompiacimento (a suo avviso entrambi insopportabili), e se ne aspetterebbe un maggiore realismo circa il suo eventuale futuro. Magari anche un maggiore scrupolo affinché a tutti i suoi membri siano riservati gli stessi diritti e gli stessi doveri.

Più che l’Unione europea — eternamente in fieri tra mille incertezze — egli tuttavia predilige l’idea di Occidente. Che gli ricorda ciò in cui crede e che ama: i racconti che ha ascoltato da bambino, le forme della bellezza e del pensiero che gli sono familiari e che lo emozionano, i vasti drammi della storia che continuano a vivere in lui. Va aggiunto che un conservatore crede nella pari dignità di tutte le culture, certamente; si rifiuta però di sottoscrivere la menzogna che tutte abbiano avuto un pari ruolo e significato sulla scena del mondo. E lo lascia assai freddo pure l’ipotesi, che giudica utopica, di un loro felice, futuro amalgama.

In generale, e per mettere un punto, il conservatore è comunque convinto dell’assoluta necessità di obbedire alle leggi dello Stato e alle prescrizioni del governo (contro quelle sgradite aspetta di vendicarsi il giorno delle elezioni). Si fa quindi un punto d’onore nel pagare le tasse e il biglietto del tram, nel non occupare il parcheggio riservato ai disabili così come nel vaccinarsi. Poiché poi è un estimatore della coesione sociale, il conservatore, contrariamente a un’opinione diffusa non ama affatto le diseguaglianze. Sa però che ogni tentativo di eliminarle è finito malissimo e proprio perciò è convinto che un certo coefficiente d’ineguaglianza è ineliminabile. Ma non fosse altro che per pure ragioni egoistiche (si vive meglio se non si è circondati dalla miseria) desidera che un tale coefficiente sia tenuto sotto il più stretto controllo. Anche a costo di doverci rimettere di tasca propria.

Ecco all’incirca in che cosa consiste un punto di vista conservatore. Per certi aspetti, com’è evidente, esso ha un chiaro risvolto ideologico-culturale di destra. Ma forse non solo, direi. Mi sembrerebbe degno comunque di un Paese civile che il sistema mediatico più accreditato e la discussione pubblica trovassero il modo di non ostracizzarlo, di prestargli un certo ascolto senza però che intervenga subito a bacchettarlo e a metterlo a tacere il conduttore o la conduttrice di turno.

CORRIERE.IT

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