Alta tensione nel M5S, Conte e Di Maio ai ferri corti

I fedelissimi del ministro degli Esteri respingono ogni accusa. E spiegano piuttosto come sarebbero Conte e i suoi a sbagliare le strategie. Impuntarsi sulla difesa del direttore del Tg1 Giuseppe Carboni sarebbe stato un errore da matita blu: «Dire o Carboni o morte è stato come dire o Conte o morte, non poteva che finire male». In più, sarebbe lo stesso Beppe Grillo ad aver visto tutta la trattativa come un gigantesco errore. Tanto che sui telefonini dei suoi amici più fidati girava ieri un’immagine che prendeva in giro l’ex premier, rappresentato come un fumetto che chiede: «Datemi almeno Rai Gulp».

Il fondatore del Movimento non permetterà che le fibrillazioni sulla Rai facciano traballare il governo, questa la convinzione di chi ha parlato con lui. E lo stesso vale per l’attuale capogruppo della Camera Davide Crippa – che Conte non controlla – che per la presidente dei senatori Maria Domenica Castellone, che però molti dicono ormai riallineata ai vertici.

Comunque sia, è ormai evidente che le squadre in campo siano due: una tifa per Mario Draghi qualsiasi cosa voglia fare, che sia restare a Palazzo Chigi o andare al Quirinale, e lavora per proteggerne le mosse. Un’altra cerca di ricostruire il Movimento richiamandosi a uno stile che però non controlla. Vedere il sempre pacato Giuseppe Conte andare davanti ai giornalisti a dire: «In Rai non metteremo più piede», è straniante prima di tutto per i deputati e senatori a lui più vicini.

Alessandro Di Battista, che lavora ormai al suo contro-Movimento e tornerà in tour tra pochi giorni insieme al deputato (fuoriuscito) Alessio Villarosa, scrive in un post: «Vi stupite? Hanno scelto (in modo scellerato) di far parte del governo dell’assembramento? Dicevano “controlliamo dall’interno”, ora neppure stanno “dentro” per controllare. Domando ancora: ne valeva la pena?». A questa domanda, metà Movimento risponderebbe sì e un’altra metà – oggi – vacillerebbe. Le crepe sono sempre più profonde, la fiducia reciproca come consunta. Che il tutto rischi di deflagare dopo le nomine Rai, è come sempre la vita che si appropria dei simboli. Perché da lì, per il Movimento, tutto è cominciato. Fuori i partiti dalla Rai è stato l’urlo del primo Grillo e dei primi Vaffa Day. Nella tv pubblica il comico aveva giurato di non tornare mai più, dopo esserne stato allontanato (dalla politica) per una battuta sui socialisti. Poi, non appena il Movimento è entrato al governo, l’allora direttore di Rai2 Carlo Freccero creò un programma, C’è Grillo, che gli valse molte polemiche seppure formato solo da spezzoni di vecchi spettacoli costati 30mila euro di diritti d’autore.

Al grido di OccupyRai l’allora presidente della Commissione di Vigilanza Roberto Fico era andato – sotto la pioggia – a organizzare un presidio davanti ai cancelli di piazza Mazzini, con Grillo che urlava: «Mi interessa la tv pubblica», non «il nano con le sue merdose tv». Seguiva incontro con l’allora dg Luigi Gubitosi e un comunicato sul blog che ne chiedeva le dimissioni insieme a quelle della presidente Anna Maria Tarantola. Erano i tempi dell’opposizione, però. Quando ancora il M5S non aveva partecipato ad alcuna spartizione e poteva dirsi orgogliosamente fuori dal sistema. Adesso, quello spartito suona stonato. Soprattutto, non ci sono direttori d’orchestra capaci di far andare a tempo le diverse anime dei 5 stelle. Divise su tutto, ma – più di tutto – sul futuro del governo Draghi.

LA STAMPA

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